«La Francia avrebbe potuto fermare il genocidio in Ruanda, ma non ne ha avuto la volontà». Con un comunicato stampa dell’Eliseo di giovedì, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha confermato «le responsabilità» del suo paese riguardo al massacro dei Tutsi che, a partire dal 7 aprile 1994, causò la morte di oltre 800mila persone.

Invitato alle «commemorazioni per il 30° anniversario del genocidio» di oggi dal presidente ruandese Paul Kagame, Macron ha precisato che interverrà solo «tramite un video», mentre alla cerimonia ufficiale a Kigali è presente il ministro degli Affari esteri francese, Stéphane Séjourné.
Parigi precisa che questo discorso sarà la continuazione di quello che il leader francese ha tenuto in Ruanda nel maggio 2021, dopo la pubblicazione del “rapporto Duclert”, che indicava «una precisa responsabilità politica, istituzionale e morale di Parigi nel genocidio», con la Francia che contribuì a rafforzare «la deriva razzista e l’eccessivo armamento del potere hutu».

In Ruanda, dopo la rivoluzione del 1959, i Tutsi erano stati progressivamente esclusi dal potere dagli Hutu (l’80% della popolazione) e avevano formato nel 1990 il Fronte patriottico ruandese (Rpf) che, dal vicino Uganda, condusse una guerra civile fino alla vittoria definitiva nel 1994.

Il 6 aprile 1994 l’aereo dell’allora presidente-dittatore Juvenal Habyarimana, sincero amico del presidente Mitterand, fu abbattuto da un missile terra-aria lanciato dai guerriglieri dell’Rpf. L’attacco fu la scintilla che causò la vendetta degli Hutu e uno dei più brutali genocidi della nostra recente storia.
Per oltre 100 giorni le Forze armate ruandesi (Far) uccisero e massacrarono (spesso solo con i machete) oltre 800mila Tutsi in una maniera pianificata e capillare. Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria dell’Rpf contro le forze governative e la successiva fuga di oltre un milione di Hutu verso i paesi confinanti (Burundi, Repubblica democratica del Congo e Uganda) per paura di essere giustiziati.

Il rapporto, voluto fortemente da Macron, ha fatto emergere «una complessiva inerzia da parte di Parigi nel valutare la situazione e nell’attuare misure di contrasto», come altrettanto «inadeguata» fu l’Operazione «Turquoise» (missione francese a mandato Onu, avviata nel giugno ‘94 con l’obiettivo di porre un freno alle violenze in atto nel paese) che fu «incapace di limitare i massacri».

Oltre all’ammissione di «responsabilità» da parte di Macron, diverse organizzazioni per i diritti umani – le associazioni Survie, Ibuka e la Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) – richiedono un «procedimento penale individuale in Francia contro i decisori politici e militari dell’epoca ancora in vita». Nello specifico riguardo al massacro sulla collina di Bisesero (40mila vittime), con i militari francesi che non intervennero, nonostante le richieste di aiuto da parte dei Tutsi e la vicinanza dal luogo dell’eccidio.

Lo scorso settembre 2022 – dopo 17 anni di processo – la giustizia francese si è pronunciata in secondo grado per un «non luogo a procedere», a causa della «mancanza di prove» relative all’inerzia del comando francese. Reazione misurata alle parole di Macron da parte del Collettivo delle parti civili per il Ruanda – creato dalle famiglie delle vittime – perché le dichiarazioni del presidente francese dovrebbero portare anche a «procedimenti penali e colpevoli».
«Ci sembra doveroso, oltre al riconoscimento di una responsabilità pesante, che Parigi indichi la propria complicità sui fatti avvenuti, scusandosi pubblicamente e risarcendo i familiari» ha dichiarato all’agenzia Afp il presidente del collettivo, Alain Gauthier.