Rovigo, città in mischia
La mostra A Palazzo Roncale, esposizione dedicata al club dei rossoblu fondato nel 1935
La mostra A Palazzo Roncale, esposizione dedicata al club dei rossoblu fondato nel 1935
Il rugby per Rovigo è come una «religione». La fede per i colori rossoblù, quelli della Rugby Rovigo Delta, vuole dire appartenenza, ma anche un modello sociale di inclusività e accoglienza. Alle soglie dei novant’anni di vita del club rodigino, la città gli regala una mostra «Rugby. Rovigo, città in mischia», in programma dal 22 ottobre al 29 gennaio 2023 a Palazzo Roncale. L’idea della Fondazione Cariparo e di Sergio Campagnolo – sviluppata dai curatori Ivan Malfatto, Willy Roversi e Antonio Liviero – è di andare oltre la cronaca sportiva, per raccontare come questo sport nel Polesine rivesta un ruolo importante, quasi una ragione di vita, dando luogo a sentimenti che hanno una forte presa sociale. In casa si parla di rugby e i bambini crescono con il mito e i valori della palla ovale. Questo sport, inoltre, è stato sicuramente un modo per far conoscere Rovigo nel mondo grazie alla sua squadra, ai suoi giocatori e alle partite che la nazionale italiana ha giocato nella città polesana.
La mostra, che si snoda attraverso un percorso che farà entrare il visitatore in uno stadio con le tribune, gli spogliatoi e il terreno di gioco, propone foto di collezioni private del Rugby Rovigo e di eventi storici che hanno segnato la città, manifesti dell’Istituto Salce e di altri archivi, ma anche maglie storiche, palloni e video dell’Istituto Luce e della Rai.
La Rugby Rovigo, la squadra che fa battere forte i cuori a un’intera provincia e a cui viene dedicata la mostra, è nata nel lontano 1935 e nella sua lunga e ininterrotta presenza nella massima divisione ha conquistato 13 scudetti nazionali: il primo nel lontano 1951 e il più recente nella stagione 2020-21.
A portare la passione per questo sport fu Davide Lanzoni, uno studente di medicina all’Università di Padova, che contribuì alla storia del rugby Rovigo non solo portando un pallone, ma anche come allenatore, giocatore – sotto falso nome perché i genitori disapprovano questo impegno – e ideatore dei colori sociali: le prime maglie azzurre vengono sostituite con quelle rossoblù quando una muta viene donata dal Bologna calcio.
Da subito il rugby mise insieme ragazzi di estrazione sociale diversissima: i figli della borghesia con «quelli di San Bortolo», il quartiere popolare della città che accoglieva i più poveri. I ragazzi cresciuti lì portarono in squadra la voglia di riscatto sociale e con il rugby uscivano dalla marginalità diventando qualcuno in città. «Qui nascono le bande dei ragazzi del dopoguerra: per giocare, andare a nidi, a cogliere frutta, a fare danni. È il rugby alla fine a toglierli dalle strade» così racconta Luciano Ravagnani, il decano dei giornalisti italiani di rugby, rodigino pure lui.
Ma tale era il peso sociale di questo sport che la squadra era tenuta sotto osservazione anche dalla polizia, interessata a controllarne le simpatie politiche. Gli anni erano quelli della Guerra Fredda e il questore segnalava al prefetto la possibilità che «elementi di estrema sinistra» stessero tramando per fare «divenire la società di rugby, una delle più importanti d’Italia, strumento del Pci», come riportato nei Documenti del gabinetto di prefettura conservati nell’Archivio di Stato di Rovigo. Fantapolitica, ma segno inequivocabile quanto il rugby fosse importante nella società rodigina.
Nella mostra non può mancare un omaggio al grande «Maci», diminutivo di Maciste, all’anagrafe Mario Battaglini. Come tutti i giovani dell’epoca praticava tanti sport sotto la spinta dell’educazione fascista: atletica leggera, calcio, nuoto, ciclismo, basket, pugilato. La leggenda vuole che nello stesso giorno disputò una partita di calcio il mattino, una di rugby il pomeriggio e un incontro di boxe la sera. «Maci» sarà il primo rodigino a vestire la maglia azzurra e nel campionato 1950-51 con Maci giocatore-allenatore il Rovigo vince il primo scudetto, di quattro consecutivi, diventando l’icona della «città in mischia». Con la maglia del Rovigo Battaglini disputò sette campionati, giocando 90 partite, segnando 460 punti, e vincendo tre scudetti. E il monumento che gli è stato dedicato nello stadio che porta il suo nome è un piccolo, ma doveroso tributo ad un grande uomo.
Negli anni Settanta Rovigo diventa la capitale italiana del rugby con le sue sei società. Ad attirare l’interesse attorno alla palla ovale, però, non sono solo i successi, ma anche la presenza di personaggi di caratura rugbistica internazionale. Allo stadio «Battaglini» la nazionale italiana nel 1978 superò l’Argentina e nel 1979 perse di misura contro la Nuova Zelanda, gli All Blacks, in una partita che entrò nella storia. Quella volta, un’ora prima del calcio d’inizio, lo stadio era stracolmo di gente con tutti i 3.500 posti occupati. Fuori dai cancelli, però, c’erano ancora tantissimi appassionati che attendevano di entrare. Fu deciso di far entrare il pubblico anche sul recinto di gioco, sempreché fossero d’accordo le due squadre. La partita si disputò in maniera del tutto regolare e il comportamento del pubblico fu magnifico. Vinsero gli All Blacks 18-12. A oggi quello rimane il miglior risultato mai ottenuto dall’Italia nelle sfide con la Nuova Zelanda.
Un po’ di Rovigo c’è anche nella celebre «Rugby pathway of fame», il percorso sorto per commemorare alcuni dei giocatori ed eventi più importanti di questo sport.
Gli inglesi l’hanno creato nel 1999 ed è una passeggiata lungo la città di Rugby, situata nella contea di Warwickshire, dove il gioco della palla ovale è nato. Cinquanta placche in bronzo, raffiguranti un pallone ovale, inserite nella pavimentazione della strada riportano il nome di un giocatore o di un evento che ha avuto un’importanza decisiva nello sviluppo del gioco. L’unico italiano presente è il rodigino Stefano Bettarello.
«Capita di andare all’estero», racconta Ivan Malfatto uno dei curatori della mostra, «e alla domanda: da dove vieni? all’interlocutore, sentendo il nome Rovigo, si illuminino gli occhi. Soprattutto se sei in vacanza in zone dove il rugby è popolare. In realtà ad essere nota non è tanto la città, ma la squadra».
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