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Rossi con rossi, blu con blu. Gli Usa divisi fra città e campagne

Rossi con rossi, blu  con blu. Gli Usa divisi fra città e campagneLa mappa elettorale delle elezioni di midterm 2022, in rosso gli stati repubblicani

America in bilico Un’«autosegregazione» politica definisce risultati elettorali così polarizzati. E un disegno malizioso dei collegi avvantaggia il Gop

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 12 novembre 2022

Se partite dall’aeroporto internazionale di Reynosa, in Texas al confine col Messico, e procedete verso Nord fino a Winnipeg, in Canada, attraversando Oklahoma, Kansas, Nebraska, South Dakota e North Dakota non incontrerete una sola contea a maggioranza democratica. Sono 2.894 chilometri.
Le elezioni di metà mandato di martedì scorso che, come si sa, non hanno ancora prodotto risultati definitivi, hanno confermato un’altra volta l’estrema polarizzazione della società americana, particolarmente visibile nella frattura politica città-campagna. Le aree rurali votano a stragrande maggioranza per i repubblicani, le città votano per i democratici. L’immensa distesa delle grandi praterie, tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose, vota per i repubblicani, le due coste atlantica e pacifica votano per i democratici. Negli Stati uniti le contee sono 3.143 e quasi tremila votano per i nostalgici di Trump. L’approssimativo equilibrio nel voto tra i due partiti è il prodotto dello squilibrio demografico fra le aree metropolitane e le altre: la contea di Los Angeles ha circa dieci milioni di abitanti, Loving County, in Texas, ne ha 64.

E PROPRIO IN TEXAS, dove il governatore repubblicano uscente Greg Abbott ha distanziato di quasi un milione di voti il candidato democratico Beto O’Rourke, le grandi città come Houston, Dallas, Austin e San Antonio sono feudi democratici, mentre tutto il resto dello Stato è saldamente controllato dai repubblicani. Questo significa che in realtà la divisione del voto 50-50 non è il frutto solo di valori e visioni del mondo differenti, spesso opposte, ma anche di una segregazione territoriale ormai consolidata.

Il fenomeno era stato osservato già nel 2008 da Bill Bishop nel suo libro The Big Sort, dove descriveva una specie di «autosegregazione» politica degli americani: i repubblicani vogliono abitare vicino ad altri repubblicani che credono in Dio, possiedono armi e sono contrari all’aborto, mentre i democratici sono molto reticenti verso l’idea di avere dei vicini bigotti, che tengono un fucile nel pick-up e sostengono la pena di morte.
Due esempi basteranno: martedì scorso nella circoscrizione New York-14 la deputata più di sinistra dell’intera Camera, Alexandria Ocasio-Cortez ha ottenuto il 71% dei voti, contro il 27% della candidata repubblicana Tina Forte. Nella circoscrizione Alabama-1, il candidato repubblicano Jerry Carl ha ricevuto l’84% dei suffragi, contro il 16% del candidato libertario: i democratici non erano presenti.
A sua volta, la maggioranza in Senato dipende ora da tre stati dove i conteggi sono ancora in corso: Arizona, Nevada e Georgia. In Arizona lo scontro è tra le città di Phoenix e Tucson e tutto il resto dello Stato. In Nevada, Las Vegas vota democratico (anche grazie a una robusta sindacalizzazione nel mondo dei servizi) e tutto il resto, tranne Reno, vota repubblicano. In Georgia la competizione è tra l’area metropolitana di Atlanta (democratica) e le zone repubblicane. In Wisconsin, la capitale Madison, che è anche una città universitaria, sostiene il partito di Biden, mentre praterie e foreste fino al confine canadese coltivano la nostalgia di Trump. E proprio in Wisconsin, il senatore repubblicano uscente Ron Johnson è stato dichiarato vincitore con il 50,4% dei voti, una manciata di schede in più del suo avversario democratico.

QUINDI È POSSIBILE che il Senato nei prossimi due anni sia nuovamente diviso perfettamente a metà, con 50 seggi per ciascuno dei partiti e con la vicepresidente Kamala Harris chiamata a esprimere un voto decisivo in caso di parità. Poiché mancano ancora tre risultati finali (Arizona, Nevada e Georgia) è possibile sia una maggioranza 51-49 per i democratici, se vincono in tutti e tre gli Stati, sia una maggioranza 51-49 per i repubblicani se vincono in Nevada (dove sono in vantaggio) e in Georgia, dove ci sarà un ballottaggio il 6 dicembre.

SI VOTA QUASI OVUNQUE con il sistema Winner-Take-All, chi arriva primo vince. Alcuni stati fra cui l’Alaska hanno adottato un sistema assai più democratico, il cosiddetto Ranked Choice Voting, ma si tratta di rarità. Il metodo a turno unico ha molti difetti ma quello essenziale è il fatto che -nelle zone dove il consenso dei due partiti si equivale – affida la rappresentanza di una circoscrizione o di uno stato a politici che hanno il consenso di metà degli elettori, più qualche decina o centinaia di schede. Il margine di errore nei conteggi è molto spesso superiore a quello dei voti a favore del vincitore. Per esempio, nella circoscrizione Colorado-3, oggi rappresentata da una deputata fascistoide e pericolosa come Lauren Boebert, i conteggi sono ancora in corso ma il suo margine di vantaggio è di circa mille schede sui 320.000 voti espressi, lo 0,35%.

I democratici (che hanno fatto molto meglio del previsto in elezioni che li vedevano in difficoltà) sono stati danneggiati anche dalla pratica del ridisegno delle circoscrizioni elettorali che avviene dopo ogni censimento decennale. Negli Stati uniti la dimensione e la forma delle circoscrizioni della Camera non sono affidate a funzionari statali ma sono quasi ovunque compito dei parlamenti degli stati. Questo permette alle maggioranze locali di ridisegnare i collegi a loro vantaggio: per esempio in Wisconsin, dove il governatore democratico Tony Evers ha ricevuto una solida maggioranza di voti popolari, i repubblicani controlleranno circa i due terzi del parlamento dello stato grazie a uno sfacciato gerrymandering che è legalmente ammissibile, tranne casi eccezionali.

PER CONCLUDERE, i democratici possono rallegrarsi solo a metà: il previsto tsunami repubblicano si è rivelato poco più di una maretta ma se anche il partito di Biden mantenesse il controllo del Senato, la Camera quasi certamente passerà ai repubblicani e quindi sarà estremamente difficile per il presidente far passare qualsiasi disegno di legge significativo da adesso alle elezioni presidenziali del 2024.

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