Roma non si vende, la “città bassa” rivendica l’autogoverno
Roma non si vende Movimenti sociali, maestre, bambini, comitati, più di ventimila in piazza. «Le politiche del debito vogliono cancellare la politica. Per noi non è così, la politica si fa per le strade»
Roma non si vende Movimenti sociali, maestre, bambini, comitati, più di ventimila in piazza. «Le politiche del debito vogliono cancellare la politica. Per noi non è così, la politica si fa per le strade»
Doveva essere un corteo capace di parlare alla città, ma alla fine ieri pomeriggio è stata la città stessa a prendere parola in un frizzante pomeriggio primaverile. Il cartello «Roma non si vende» aveva dato appuntamento alle ore 16 a Piazza Vittorio, cuore multietnico di Roma.
La piazza è tappezzata di manifesti che inneggiano ironicamente a Tonelli Sindaco, il curatore del blog Roma Fa Schifo che proprio nei giorni scorsi aveva aperto una sterile polemica contro il corteo, definito creativamente «pro-Mafia Capitale»: una mossa astuta, un fake che ha ridicolizzato un personaggio preso troppo sul serio alle latitudini più alte del governo cittadino.
Piazza Vittorio, si diceva; già alle 15 erano comparsi i primi assembramenti di persone, i primi striscioni e i primi cartelli, rigorosamente firmati dall’hashtag comune che ha lanciato la piattaforma del corteo. Alle 16 l’angolo tra Piazza Vittorio e Via dello Statuto è saturo, si fatica a raggiungere la testa del serpentone umano, e la gente inizia a sfilare.
Tanti, oltre 20mila, nonostante il valzer delle cifre iniziato con troppa fretta dalla Questura di Roma; sfilano lungo Via Cavour, determinati a far sentire la propria voce. Una riappropriazione indiretta della politica cittadina, una miscellanea di sigle, reti e realtà che ha scelto di fondersi in una giornata «che per quanto ci riguarda è l’inizio di un esperimento sociale e politico che immaginiamo il più ampio e includente possibile», racconta Flavia della Rete per il Diritto alla Città.
Il messaggio, d’altronde, era stato chiaro fin dalla partenza. Lo striscione d’apertura, retto da decine di bambine e bambini scesi in piazza con le proprie famiglie, recitava «Decide Roma, Decide la Città»: un monito di fermezza scagliato contro le politiche di privatizzazione e svendita del patrimonio pubblico che una città commissariata, logora ed esausta, sta subendo da troppo tempo.
Una svendita di servizi e diritti, denunciano i promotori, giocata sulla pelle delle centinaia di migliaia di famiglie e persone costrette a sbarcare ogni il giorno il lunario per garantirsi un salario, un tetto, per non far mancare alle generazioni di domani l’istruzione e la sanità.
Ecco allora spiegato il segreto di una giornata che ha colto nel segno: non il protagonismo di generali senza esercito ma un corpo vivo, differente, variegato.
Dalle maestre degli asili nido (da mesi in lotta a Roma) ai lavoratori dei canili, dai comitati dei quartieri al sindacato di base, dai movimenti per il diritto all’abitare agli spazi sociali e autogestiti, passando per le liste dei disoccupati, i comitati referendari e l’associazionismo di base.
Il corteo sfila, la marea umana bussa alle porte del Campidoglio, sono da poco passate le 18. Davanti le casse amplificate montate sui camion c’è la gigantografia di Jeeg Robot, il nuovo eroe delle periferie romane a cui Claudio Santamaria ha prestato viso e voce nel film di Mainetti.
[do action=”quote” autore=”Marco Bersani”]«Le politiche del debito vogliono cancellare la politica. Per noi non è così, la politica si fa per le strade»[/do]
L’assemblea popolare racconta la storia della città, quella lontana dalle paillette e dalle vetrine delle primarie: si alternano testimonianze di precarietà a interventi di respiro più politico. «La piazza di oggi dice che gli sgomberi di spazi sociali, gli sfratti e le politiche repressive contro i movimenti non hanno asilo in questa città», si sgola una giovane militante. «Le politiche del debito vogliono cancellare la politica: per noi non è così, e oggi abbiamo dimostrato che la politica si fa per le strade», tuona Marco Bersani del CRAP.
Per Guido Lutrario (Carovana delle Periferie) «non abbiamo più un vero servizio sanitario nazionale, i trasporti, il diritto alla casa e tutti ciò che avevamo conquistato con anni di lotte. Ci riprenderemo tutto, Roma non si vende è uno slogan ma anche un patto e un grido di rabbia».
Tanti gli interventi che si alternano, a decine: proprio sotto le finestre del Campidoglio, un luogo che nell’immaginario comune del cittadino romano era stato depoliticizzato, commissariato, un luogo che simboleggiava solo malaffare e riciclaggio del ceto politico. «Campidoglio: altro che elezioni, #RomaNonSiVende è il programma politico di autogoverno», rilancia un tweet di un portale informativo di movimento.
Alle 20 l’assemblea si scioglie, qualcuno arrotola le bandiere e altri piegano gli striscioni. La sensazione è quella di aver bucato la coltre di disaffezione alla vita politica della città, andando oltre lo stereotipo del movimentismo e del centro sociale, scommettendo invece su un ragionamento che mira a disarticolare le maglie stringenti del DUP del Commissario Tronca.
La sfida della città è aperta: non si possono più ignorare queste voci.
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