Il rapporto Caritas «False ripartenze?», un volume di 154 pagine presentato ieri a Palazzo Lateranense a Roma, è una fotografia della povertà diffusa nella Capitale dopo due anni di pandemia. Parrocchie, mense sociali e numerose iniziative di prossimità hanno verificato sul campo gli effetti delle misure sociali spot adottate dai governi «Conte 2» e Draghi: dall’estensione della cassa integrazione al «reddito di emergenza» creato per non estendere il «reddito di cittadinanza», non hanno fermato la crescita della povertà relativa e assoluta. In compenso sono stati inventati bonus per i monopattini o per le terme. E la famosa «ripartenza»? È stata falsa. Senza punto interrogativo.

QUASI UNA PERSONA su quattro nella Capitale vive in uno stato di «disagio economico»: il 10,3% è in «grave deprivazione materiale» una percentuale di 3 punti superiore alla media nazionale (7,4%); il 14,1% è a rischio povertà, il 6% «arriva con fatica a fine mese», più che a Torino, Firenze, Milano e Genova, ma meno della media italiana (8,2%). Si vive nella «trappola della precarietà» (il 21%) e di lavoro povero, precarietà abitativa e abbandono scolastico (cresciuto al 9,6%). E poi c’è il lavoro mal retribuito. A Roma il 13,5% ha uno stipendio inferiore ai 2/3 di quello della maggioranza dei lavoratori. A Milano il 12,5%, a Torino l’8,1%. Nella Capitale si allarga la forbice tra una maggioranza relativa del 41,1% dei cittadini che presenta un reddito pari o inferiore a 15 mila euro e il 2,4% di cittadini con un reddito superiore ai 100 mila euro. Nel VI Municipio, ad esempio, il reddito medio annuo è 17.460 euro, in quello del centro cittadino è di 39 mila. Il divario è anche generazionale: i più«ricchi» sono gli over 60. Peggiora inoltre la salute mentale delle donne tra 20-24 anni. Nel 2020 il 9,6% dei 65 74enni ha dichiarato di avere rinunciato a una o più prestazioni sanitarie pur avendone bisogno. Ciò ha portato il 18% delle parrocchie a predisporre un apposito servizio sanitario. Tra gennaio 2020 e giugno 2021 in tre mense Caritas sono stati distribuiti oltre 500 mila pasti per 2.070 persone. I 184 Centri di ascolto parrocchiali hanno registrato 11.223 nuovi iscritti. Soprattutto donne: il 64%. Il 45,8% ha cittadinanza italiana, il 54,2% straniera.

CONSIDERATE le dimensioni, e la rilevanza, i dati raccolti a Roma parlano della condizione che vivono 5,6 milioni di «poveri assoluti» e almeno otto di «poveri relativi» in Italia. È il ritratto di un paese sospeso tra le sirene di investimenti favolosi (dal Pnrr nel Lazio arriveranno 8,2 miliardi di euro di investimenti, di cui 4,6 destinati a Roma e provincia) e la quasi certezza che questi soldi non andranno agli «scartati» che non sono solo i poveri assoluti ma anche i lavoratori del ceto medio impoverito. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, già protagonista della politica economica del governo Conte 2, ha annunciato «un grande patto per il lavoro di qualità e lo sviluppo, con tutte le forze sociali e imprenditoriali».

SONO QUESTE alcune delle conseguenze di un Welfare senza Stato sociale che non ha rimediato agli storici ritardi di questa istituzione ed è stato inteso solo come uno stimolo all’offerta congelata e penalizzata dai lockdown, Ma non ha prodotto un effetto moltiplicatore anche perché è ispirato a un tragico errore di prospettiva: la crisi innescata dal Covid sarebbe passata e la «normalità» sarebbe tornata. Due anni dopo ci troviamo senza visione in una crisi ancora più complicata. È una politica ispirata a una radicata mentalità che ha replicato l’ errore fatto negli Stati Uniti dove l’eccezionale afflusso di denaro pubblico (oltre 5 mila miliardi di dollari superiori alle cifre stanziate in tutta Europa) ha tamponato il problema e, forse, ha contribuito a innescare un ciclo inflattivo. In un paese che ha una struttura del lavoro e della società diversa dalla nostra nessuno ha mai pensato di modificare il Welfare. Anche da noi però è stata scelta la logica conservatrice di Bismarck: preservare la gerarchia dello status sociale al di là delle alterne vicende di malattia, vecchiaia e disoccupazione; consolidare un sistema che produce disuguaglianze e non modificarlo.