Mascherina, occhiali da sole e un cappello per nascondere il volto, Fatima (nome di fantasia) ha 29 anni ed è appena atterrata a Fiumicino insieme ad altri 97 rifugiati partiti dalla Libia. «Sono palestinese ma sono nata e cresciuta in Libia. Lì non potevo vivere, non potevo essere me stessa – racconta – essere in Italia per me significa sicurezza e libertà». Con lei bambini di ogni età, donne e uomini di origine Eritrea, Etiope, Centrafricana, Somala, Sudanese e Siriana.

Sono i pochi fortunati, tra le migliaia di rifugiati che si trovano nei campi di detenzione libici, a esser stati inseriti nel primo corridoio umanitario previsto dal protocollo d’intesa firmato lo scorso dicembre tra ministero dell’Interno, ministero degli Affari esteri, Unhcr, Arci, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Inmp. Il protocollo prevede diversi voli umanitari scaglionati in tre anni per un totale di 1.500 persone che verranno evacuate dalla Libia in Italia. Le persone arrivate ieri saranno inserite nei programmi d’accoglienza di Arci, Sant’Egidio e Unhcr e smistate in diverse città italiane.

«La Libia non è un porto sicuro. Dal 2017 al 2023 l’Ue ha speso 71 milioni di euro di finanziamento per equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica, anche tramite il supporto italiano» ricorda Filippo Miraglia, responsabile nazionale Immigrazione Arci, durante la conferenza stampa in aeroporto. «Con i corridoi umanitari mettiamo in salvo poche centinaia di persone, tante e tanti altri perdono la vita in mare o restano in quell’inferno e non hanno la possibilità di arrivare in Europa attraverso canali legali e sicuri», conclude.

Dal 2017 (primo anno del Memorandum d’Intesa stipulato tra Italia e Libia) a oggi circa 130 mila persone sono state intercettate in mare e riportate indietro nei campi di detenzione dalla cosiddetta guardia costiera libica. Solo nel 2023 sono state oltre 17 mila (dati Oim). Secondo il ministero dell’Interno da ottobre 2022 ad agosto 2023, invece, 101 rifugiati sono arrivati in Italia dalla Libia tramite evacuazioni umanitarie.

Aisha Musa, 39 anni, il Mediterraneo l’ha provato ad attraversare sei volte prima di giungere in Italia oggi con i suoi quattro figli: «Nei campi di detenzione ho passato quattro anni – racconta -. Anni di sofferenze e torture, ho provato a fuggire via mare per sei volte, ma la guardia costiera libica mi ha sempre respinta indietro. Ringrazio chi ha permesso a me e ai miei figli di arrivare qui e chiedo di aiutare chi invece è ancora in Libia».