Da qualche tempo alla televisione appare un singolare annuncio pubblicitario. Si tratta di Venezia; si parla delle sue bellezze e alla fine si dice: se volete visitarla, prenotatevi. Come fosse un villaggio turistico, un albergo, o meglio, un museo. Paradossalmente l’annuncio dice il vero: perché se la città è diventata un museo, allora di prenotazione c’è bisogno, così come di pagarne l’ingresso. L’esempio sarà seguito da altre città? Per esempio Firenze e poi Roma o Napoli?

E A PROPOSITO di Roma, sono da tempo i corso i preparativi per il Giubileo della Speranza del 2025 e, anzi, la città avanza orgogliosamente la propria candidatura per l’Expò del 2030. Tutti sanno che il Giubileo è un anno speciale di grazia, in cui la Chiesa cattolica offre ai fedeli la possibilità di chiedere l’indulgenza plenaria, cioè la remissione dei peccati per se stessi o per parenti defunti. a qualche tempo la città non conosce sosta ai lavori preparatori, tanto che attraversarne il centro significa partecipare ad un vero e proprio corso di sopravvivenza: linee di autobus deviate, tempi di attesa alle fermate lunghissimi, interruzioni, cancellazione di corse, eccetera.

MOLTISSIMI I PROGETTI: dai parcheggi interrati e no (piazza Pia, per esempio), al nuovo porto di Fiumicino per accogliere le grandi navi crocieristiche (i partecipanti al Giubileo arriveranno anche via mare?). Ma ci sono altri cantieri: l’inceneritore a Santa Palomba, la cosiddetta Foresta Romana (Fo.Ro.) a piazza dei Navigatori, del solito archistar, con grattacieli green, i lavori per la metro C a piazza Venezia, quelli per il tram dalla stazione Termini a San Pietro e poi Aurelio, tante piste ciclabili, il nuovo stadio della Roma a Pietralata, la ristrutturazione della Vela di Calatava a Tor Vergata (residuo “bellico” di una vecchia amministrazione di sinistra) e infine il Progetto Fori “opportunamente” modificato rispetto all’idea originaria di Benevolo, Argan, Petroselli, e così tanto cemento sparso qua e là per l’immenso territorio urbano.

Il Giubileo della Speranza diventerà (certamente non secondo le intenzioni di Papa Francesco) il Giubileo della grande Rinascita della città. Ma quale città e quale rinascita? Quella degli albergatori, delle piattaforme airbnb, degli imprenditori, degli immobiliaristi (Il Messaggero pubblica quasi quotidianamente attacchi contro il Progetto Fori bollato come la Disneyland romana e contro i nuovi tram previsti), e poi degli sciami di turisti onnivori che, indifferenti, contempleranno l’Altare della Patria allo stesso modo della Cappella Sistina. Questo insieme di opere continueranno anche dopo la chiusura del Giubileo a dimostrazione che con quello evento poco o niente avevano a che fare. Esse costituiscono l’anima della cosiddetta Rigenerazione urbana e scommettiamo che le disuguaglianze urbane non si attenueranno, anzi aumenteranno, né le periferie ne godranno in alcun modo benefici.

RENATO NICOLINI, del quale quest’anno si celebra il decennale della morte, aveva coniato un termine: «il meraviglioso urbano» ad indicare un Progetto di città in continua trasformazione, ad esempio coniugando il basso con l’alto, ovvero il popolare con l’élite passando, attraverso il cinema: da Luchino Visconti al pianeta delle scimmie.

Allora Roma divenne «meravigliosa» connettendo la sua grande storia con il moderno, riscoprendo luoghi abbandonati o restituendo loro dignità: il Mattatoio, la Basilica di Massenzio, la spiaggia di Castelporziano (dove si tenne il Festival dei poeti). Un progetto di città in continua trasformazione, un laboratorio di idee, di eventi, di incontri, di piazze e strade trasformate, di notte, in uno spettacolo vivente. E la città cambiò volto; non più paura ad uscir di notte; dalle periferie lontane accorrevano giovani per godere della città rinata.

CONFRONTARE QUEL progetto con la situazione attuale è impietoso e non vale dire che «erano altri tempi», perché “quei tempi”, prima di Nicolini, erano bui e cupi, caratterizzati dalla paura e dal terrore. Il confronto tra quel Progetto e le opere di oggi frammentate e sparse per la città, rivela il vuoto di idee dei nostri tempi, la mancanza di una cultura del fare città, l’assenza progettuale. L’effimero è proprio questo (non quello di Renato Nicolini): passato il Giubileo, gli imbellettamenti della città perderanno il loro smalto e resteranno qua e là inutili rovine, ma quest’ultime, a differenza delle altre ben note, senza più alcuna storia.