Rogo Tmb, aria inquinata diossina oltre gli standard
Roma L’allarme dell’Arpa. La sindaca Raggi: «Impossibile riprendere l’attività dell’impianto»
Roma L’allarme dell’Arpa. La sindaca Raggi: «Impossibile riprendere l’attività dell’impianto»
Villa Ada dista circa tre chilometri in linea d’aria dall’impianto Tbm del Salario, che nelle prime ore di martedì scorso ha preso fuoco spargendo fumo per la gran parte di Roma. Proprio nello storico parco si trova la centralina di captazione che a ventiquattr’ore di distanza fornisce un dato ufficiale sulle conseguenze per l’atmosfera capitolina di quel gigantesco rogo. Dunque, adesso sappiamo che l’inquinamento da polveri sottili dell’aria di Roma dopo l’incendio ha superato i limiti di legge. Lo spiega l’Arpa Lazio nella relazione sulla qualità dell’aria nella si legge a chiare lettere che «il valore registrato risente del contributo delle emissioni generate dall’incendio». Mentre la periferia sudorientale bruciava, nel silenzioso contesto a ridosso del laghetto di Villa Ada la concentrazione rilevata di Pm10 era di 56 microgrammi al metro cubo.
Il giorno prima lo stesso indicatore si era fermato a 21. Il limite stabilito dalla legge è di 50.
Ieri Virginia Raggi è tornata sul disastro e sui rischi che il sistema già traballante di smaltimento dei rifiuti corre. Ha confermato quanto pareva inevitabile, cioè che in via Salaria 907 non è possibile ripristinare l’attività del Tbm. Poi ha messo sul tavolo la concreta possibilità che la tassa de rifiuti aumenterà e ha invitato il governo ad evitare che qualcuno speculi su questa emergenza nell’emergenza. Da qualunque lato la si osservi, la comunicazione della sindaca conferma le difficoltà serie in cui si trova Roma. È come se tirando il filo del Salario si potesse sciogliere l’intricatissima trama dell’immondizia romana, frutto di anni di sovrapposizioni di poteri, grovigli di interessi, soluzioni rinviate. A partire dall’impianto incendiato, e dal fatto che lo stesso incendio potrebbe rivelare che la fossa centrale era troppo piena, il che confermerebbe che il Salario funzionava più da discarica non autorizzata che da impianto di trattamento.
Su tutto questo indagherà la magistratura. Se ne stava già occupando e adesso lo farà con maggiore forza. Pm e carabinieri hanno già sentito l’assessore all’ambiente Pinuccia Montanari. Forse verrà ascoltato anche Lorenzo Bagnacani, l’uomo solo al comando nominato dal Movimento 5 Stelle che per la prima volta nella storia di Ama ricopre le funzioni di presidente, amministratore delegato e direttore generale. L’altra certezza, amara, riguarda la scarsa autonomia industriale da Ama, che pure ha un bilancio di svariati miliardi e quasi 8 mila dipendenti. Nonostante ciò, e a maggior ragione dopo la chiusura che pure pareva inevitabile anche prima dell’incendio dell’impianto del Salario, l’azienda avrà ancora meno possibilità di riuscire a chiudere il ciclo dei rifiuti con impianti di proprietà. Fino a due giorni fa, si calcola che l’autonomia fosse attorno al 20%. Dal 2013 al 2017 Ama ha sborsato 700 milioni di euro per trattare, recuperare e smaltire i rifiuti in impianti di terzi. Significa che se prima la gran parte del lavoro veniva delegata alla discarica di Malagrotta e alla gestione privata di Manlio Cerroni, adesso la sostanza non sembra cambiata di molto, visto che la stragrande maggioranza del trattamento viene esternalizzato. «Il vero problema è che Ama si occupa quasi esclusivamente dalla parte onerosa della gestione dei rifiuti – sostengono ad esempio Massimiliano Iervolino e Alessandro Capriccioli di Radicali italiani – La parte remunerativa la lascia ai privati. E invece i nuovi impianti devono essere di proprietà dell’azienda».
E invece pur di evitare la possibile emergenza rifiuti dopo la distruzione del Tmb Salario, Ama porterà una parte dei suoi rifiuti indifferenziati anche al tanto contestato tritovagliatore di proprietà di Manlio Cerroni poi «affittato» all’imprenditore Porcarelli, che già possiede un altro impianto adiacente. Il tritovagliatore ha funzioni di pre-trattamento, il che significa che i costi sono più alti di quelli di un Tmb perché le frazioni in uscita, in particolare quella umida, dovranno subire un’altra fase di trattamento. Le altre centinaia tonnellate di spazzatura, quelle che fino a due giorni fa finivano in mezzo alle case della Salaria, dovrebbero essere redistribuite tra altri impianti presenti nel territorio regionale.
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