Dopo tanti annunci, la miniriforma sanitaria promessa dal governo si è arenata. I provvedimenti «veri», quelli che richiedono investimenti, sono rinviati a un disegno di legge. Nel Cdm di oggi saranno approvate solo le misure a costo zero sul monitoraggio delle liste d’attesa.

Onorevole Speranza, da ex ministro della Salute, è così difficile velocizzare la sanità?
Il nodo è quello delle risorse. Ogni riforma senza risorse, a quattro giorni dalle elezioni, è pura propaganda. E la linea di questo governo è chiara: la spesa sanitaria in rapporto al Pil scende e nel 2025 dovrebbe tornare ai livelli del 2007. Si è invertita la direzione: nel periodo in cui sono stato ministro, rivendico di aver portato la spesa sanitaria pro capite da 2.629 a 3.255 dollari, e quella in rapporto al Pil fino al 7,4%, anche sbattendo i pugni sul tavolo. Con Meloni si torna sotto il 7% e l’anno prossimo ci si avvicina al 6%, che è considerata la soglia di tenuta.

Quando lei era ministro, però, c’era la pandemia. E anche il governo Draghi prevedeva un calo della spesa sanitaria rispetto al Pil.
Anche le previsioni precedenti ai governi di cui ho fatto parte prevedevano investimenti in calo. Ciò che conta poi è quanto il governo investa effettivamente per la salute. Durante i governi Conte II e Draghi la pandemia aveva cambiato le priorità, facendone della salute la questione centrale per cittadini e governanti. Temo che, passata l’emergenza, si stia tornando indietro nella gerarchia dei valori. Dal modello universalistico previsto dalla Costituzione si va, senza dirlo, verso un modello in cui può curarsi solo chi ha un’assicurazione privata o una carta di credito. In piena emergenza, papa Francesco disse: «Peggio della pandemia c’è solo il rischio di sprecarla», parole che oggi suonano realistiche.

Dopo il Covid avete concordato il Pnrr con l’Europa. Come avanza il Piano con il governo Meloni?
Ci sono stati passi indietro. Avevamo approvato un programma per riequilibrare le disuguaglianze di salute tra nord e sud centrato su screening oncologici, salute mentale e medicina di genere. Invece il governo ha cancellato 1,2 miliardi dall’edilizia ospedaliera, mettendo nei guai le regioni. Ha ridotto i fondi per la sanità territoriale e ha tagliato il numero delle case di comunità previste. Il NextGenEU che abbiamo lasciato al governo prevedeva un forte investimento sull’assistenza domiciliare, perché un infermiere a casa fa la differenza per anziani e loro familiari. Quando sono arrivato al ministero era assistito a domicilio solo il 4% degli over 65, contro una media europea del 6% e il 9% di Germania e Svezia. Con il Pnrr l’Italia doveva arrivare al 10%, più di tutti in Europa. Ora vedremo.

Avete criticato la maggioranza sulla commissione di inchiesta riguardo l’operato del governo durante la pandemia. Però anche altri governi europei ne hanno istituita una.
Se fosse stata una commissione per esaminare gli errori e trarne lezioni saremmo stati d’accordo. Magari con un maggiore contributo del mondo scientifico. Invece da noi è un tribunale politico pensato per colpire gli avversari. I nostri emendamenti affinché la commissione riguardasse anche l’operato delle regioni sono stati tutti respinti senza spiegarne il motivo. Il motivo è semplice, le regioni più colpite dalla pandemia erano governate dal centrodestra. In compenso la commissione valuterà l’autorizzazione dei vaccini anti-Covid dell’Agenzia Europea del Farmaco. Saranno i parlamentari italiani a giudicare l’operato dei maggiori scienziati internazionali. Un chiaro segnale al mondo no vax.

Dopo il Covid la giunta lombarda è stata riconfermata. Perché la sanità è così importante per l’opinione pubblica ma poi nelle urne sembra non contare?
Si dà per scontato che il servizio sanitario nazionale tenga grazie alla sua resilienza e che ospedali e pronto soccorso ci saranno sempre. Ma temo che stiamo arrivando al punto di rottura e che le persone se ne stiano accorgendo. Fa bene Schlein a mettere questo tema in cima alla nostra proposta al Paese.

È un tema che investe anche l’Europa?
La pandemia ci ha dimostrato che la salute non si affronta sul piano locale. L’Ue della salute è un processo inevitabile e il prossimo parlamento dovrà occuparsene molto di più di quello precedente. È il contrario dell’autonomia differenziata: c’è bisogno di politiche generali, di standard elevati, di integrazione. Anche il centro anti pandemie di Siena, in cui ho voluto Rino Rappuoli al vertice e Giorgio Parisi nel cda, nasceva come un nodo di una rete europea. È scandaloso che sia ancora fermo.

Molto dipenderà da chi vincerà le elezioni.
Sono convinto che in queste europee ci sarà un segnale importante per la costruzione di un’alternativa. Mi pare che ci siano le condizioni per aprire una fase diversa. E le europee ci aiuteranno a costruirla.