Riyadh non fa retromarcia: vuole appoggio Usa al suo programma nucleare
Medio Oriente Ieri l'Arabia saudita ha ricevuto anche il presidente venezuelano Maduro nel quadro dello sviluppo globale della sua diplomazia.
Medio Oriente Ieri l'Arabia saudita ha ricevuto anche il presidente venezuelano Maduro nel quadro dello sviluppo globale della sua diplomazia.
Una visita organizzata all’ultimo momento, quando Nicolas Maduro era in Turchia per partecipare alla cerimonia di insediamento, l’ennesima, di Recep Tayyip Erdogan. Oppure l’arrivo ieri in Arabia saudita del presidente venezuelano era già stato fissato con largo anticipo ma le due parti hanno preferito tenerlo nascosto fino all’ultimo. Per non sfidare la suscettibilità dell’Amministrazione Biden con la presenza di un nemico di Washington come Maduro in terra saudita dove è atteso, tra qualche giorno, il Segretario di Stato Usa Anthony Blinken, incaricato di ricucire i rapporti sfilacciati con l’alleata Riyadh. Già l’accoglienza che il presidente siriano Bashar Assad ha ricevuto il mese scorso dai Saud è stato un colpo per il Dipartimento di stato. Senza dimenticare che l’Iran oggi riapre la sua ambasciata nella capitale saudita, altra tappa del percorso di riconciliazione che Teheran e Riyadh hanno avviato lo scorso marzo grazie alla mediazione di Pechino.
Un segnale conciliante, ma solo a metà, la monarchia saudita l’ha indirizzato agli alleati Usa, spingendo l’Opec e una decina di Paesi produttori partner (l’Opec+), a prorogare al 2024 i tagli alla produzione di petrolio stabiliti nei mesi scorsi. Il ministro dell’energia saudita, Abdelaziz bin Salman, ha spiegato che la proroga dei tagli è stata decisa «con l’intento di aiutare a migliorare la stabilità dei mercati e di evitarne la volatilità». Allo stesso tempo, per sostenere il prezzo del greggio, Riyadh ha annunciato la riduzione unilaterale a partire da luglio di un milione di barili della quantità di petrolio che esporta.
Le mosse sul mercato dell’energia aiutano solo in minima parte il rilancio dei rapporti con Washington. I Saud in ogni caso non intendono rinunciare al protagonismo che stanno dimostrando su vari scenari. Riyadh non vuole allontanarsi oltre certi limiti dal potente alleato americano ma sa che per essere protagonista deve prima di tutto di consolidare la sua leadership nel mondo arabo e la sua influenza regionale partecipando attivamente alla soluzione politica di varie crisi – a cominciare da quella in Yemen dove invece per anni è intervenuta militarmente – anche al punto di non seguire le posizioni Usa. Come nel caso dei rapporti con il presidente siriano Assad che invece l’Amministrazione americana vorrebbe tenere isolato.
La libertà di movimento dei Saud non è in linea con ciò che Washington sta cercando di realizzare in Medio oriente incoraggiando l’istituzione di un sistema di sicurezza regionale con un accordo di cooperazione per la difesa aerea. Questa è la logica alla base dell’iniziativa israeliana del marzo 2022 di istituire il Forum del Negev – che comprende Israele, Usa, Bahrain, Egitto, Marocco ed Emirati – che di fatto è un accordo politico-militare contro l’Iran. Il Forum ha tenuto diversi incontri ma non ci sono progressi. Il fatto che l’Arabia saudita non ne sia un membro rende impalpabile l’iniziativa e questa condizione non cambierà fino a quando Riyadh non accetterà di firmare gli Accordi di Abramo del 2020 per la normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi e Israele.
In questo contesto, già lo scorso gennaio, l’Arabia saudita ha trasmesso a Washington le sue condizioni per avviare piene relazioni diplomatiche con Israele. Come riportato sia dal Wall Street Journal che dal New York Times, Riyadh vuole dagli Stati uniti il sostegno a un suo programma nucleare, garanzie di sicurezza e accesso senza restrizioni all’acquisto delle armi Usa più sofisticate. In poche parole, vuole godere presso gli Usa di uno status come quello di Israele. Perché la normalizzazione con Tel Aviv nelle condizioni attuali perpetuerebbe solo il potere di fatto assoluto dello Stato ebraico nella regione. Inoltre, i Saud da un po’ di tempo ripetono che la stabilità regionale arriverà solo «dando uno Stato indipendente ai palestinesi» sotto occupazione.
Washington vorrebbe assecondare, anche se solo in parte, la monarchia saudita ma ha di fronte un ostacolo: il no di Israele al possibile programma nucleare saudita ribadito anche ieri dal ministro dell’energia Israel Katz.
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