Cuba ha detto sì a una importante serie di diritti civili. Il nuovo Codice della famiglia, messo a referendum domenica, è stato approvato con il 66,87% dei voti. Viene dunque legalizzato il matrimonio egualitario (tra persone dello stesso genere), l’adozione da parte di coppie gay, la maternità surrogata e una serie di misure per contrastare la violenza sulle donne e proteggere i minori.

L’affuenza è stata del 74%, circa 6,2 milioni di cittadini si sono recati alle urne sugli 8,5 milioni aventi diritto. Si è trattato dell’affluenza più bassa registrata rispetto ai due precedenti referendum. Quello sulla nuova Costituzione, nel 2019, aveva registrato la partecipazione dell’84,4% e quello costituzionale del 1976 (quando Fidel era vivo) aveva raggiunto il tetto del 98% di votanti.

IL DATO DUNQUE CONFERMA un calo di partecipazione e segnali di un profondo malessere della società cubana che si manifestano da mesi. Ma non è certo l’astensionismo diffuso chiesto dai blog e «giornali indipendenti» di un’opposizione soprattutto radicata in Florida e in Spagna come forma di destabilizzazione del governo.
Il nuovo e avanzato Codice di famiglia, che sostituirà quello in vigore dal 1975, contempla anche il divieto del matrimonio infantile e l’abolizione della patria podestà a favore di una responsabilità dei genitori che rispetti la personalità dei figli. Si tratta di veri e propri tabù in un paese a forte tradizione patriarcale e machista che 60 anni di rivoluzione non hanno certo eliminato.

UNA TALE ESTENSIONE DI DIRITTI che allineano il nuovo codice con quello dei paesi più avanzati in questo settore non avrebbe dovuto suscitare preoccupazione al governo che lo ha proposto e la cui formulazione è stata preparata da più di 70 mila riunioni in tutta l’isola con la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini.
L’unica chiara opposizione di merito è stata quella della Chiesa cattolica, manifestata dai vescovi e in parte delle Chiese protestanti. Si sapeva anche che una parte dell’ortodossia del partito-stato aveva mal digerito un balzo in avanti di questo tipo. Però da mesi il voto di domenica scorsa era stato pesantemente condizionato da considerazioni politiche che poco hanno a che fare con i contenuti della nuova legge.

IN UN CLIMA DA MOLTI MESI caratterizzato da una gravissima crisi economica e dalla altrettanto grave difficoltà della maggioranza della popolazione a procurarsi generi di prima necessità – situazione che ha provocato un esodo dall’isola senza precedenti, specie fra i giovani – il voto è diventato così un referendun pro e contro il governo.

L’opposizione, in massima parte organizzata all’estero e amplificata da blog e quotidiani in rete finanziati direttamente o indirettamente dagli Usa e dalla destra spagnola e argentina, ha condotto una massiccia campagna per destabilizzare il governo, sparando a zero sulla formulazione di riforme che in molti altri paesi sono state salutate come necessarie. E quando non era possibile farlo, hanno accusato «il regime di usare queste proposte di avanguardia per salvare la faccia e mantenere in vita una dittatura».

IL GOVERNO HA REAGITO sullo stesso piano, usando i propri mass media e organizzazioni popolari per affermare – come ha fatto il presidente Miguel Díaz-Canel alla vigila del referendum – che votare a favore er «dire sì all’unità, alla rivoluzione, al socialismo, insomma un sì per Cuba». Televisione, radio e giornali non hanno praticamente concesso spazio ai difensori del no, anche se motivato da questioni etiche o religiose.

Così si è giunti al paradosso che, non avendo altri spazi di espressione, alcuni noti membri della comunità Lgbtq+ che in precedenza avevano rischiato il carcere per difendere l’ampliamento dei diritti di genere, hanno invece dichiarato di votare no come castigo alla politica repressiva del governo. D’altra parte, noti sociologi, giuristi, storici e psicologi che non hanno nascosto le loro critiche al governo si sono invece espressi contro il no, dato che «il rifiuto delle politiche di governo non può significare il rifiuto di un corpo di leggi di cui necessita la società e a cui si è giunti dopo lotte e sacrifici».

QUESTO DUNQUE ERA IL CLIMA nel quale si è votato. Lo stesso presidente Díaz-Canel ha commentato i risultati come «un’altra vittoria della rivoluzione cubana». La polarizzazione a Cuba e anche all’estero nei confronti della rivoluzione cubana non è una novità. Ma mai prima si era giunti a tali livelli. Segno anche questo del malessere di una società che non si può pensare provocato solo da un embargo degli Stati uniti, diventato un vero e proprio strangolamento col presidente Trump e mantenuto dall’amministrazione Biden.

Vari noti economisti cubani hanno da mesi avvertito sul pericolo che il ritardo nell’applicazione di riforme già decise da anni, o la loro attuazione in modo parziale senza incidere nei nodi strutturali avrebbe approfondito una crisi solo in parte importata o imposta dall’estero.