Quando alla fine degli anni Cinquanta Priscilla Beaulieu incontra a una festa Elvis Presley,di base a Wiesbaden in Germania come suo padre, è una ragazzina coi golfini rosa pallido di quattordici anni, brava a scuola, piena di malinconia perché è stata costretta a lasciare l’America. Presley che le confida la stessa tristezza è il suo idolo come per molte altre ragazzine allora, e quell’immediata vicinanza la stordisce. Comincia così la loro storia d’amore che non è propriamente rosa confetto ma piena di fratture nell’essere egotico e fragile del genio, che porta Priscilla ancora ragazzina a trasferirsi a Graceland, una reggia pacchiana di cui diviene «angelo del focolare», custode e madonna, almeno nelle intenzioni della rock star. Lui una volta cresciuta e diplomata diventerà suo marito, e il padre di quell’infelice Lisa Maria Presley – scomparsa da poco.

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Elvis Presley, il re abita a LondraNON LA TOCCA – «non è il momento» le ripete fermando i suoi slanci appassionati – fino a che appunto non si sposano. Intanto la chiude nel villone del sogno pop, non può vedere nessuno né uscire da sola. Le fa tingere i capelli, truccare gli occhi, la vuole come immagina la sua «donna ideale» mentre lui va in giro sui set o in tournée e i rotocalchi feriscono Priscilla con i suoi amori, donne che la rassicura non sono per lui: «pensano prima alla carriera poi agli uomini».
Priscilla è il nuovo film di Sofia Coppola, in concorso, si basa sul libro scritto dalla stessa Priscilla Presley, Elvis and Me, insieme a Sandra Harmon, dunque la narrazione segue il suo punto di vista. È questo che adotta anche Sofia Coppola, non per un biopic, che non è la vita di

Priscilla il film ma una parte che la identifica: la sua relazione con Elvis Presley nei punti oscuri e in quelli luminosi, tra droghe, casinò e vestiti che le sceglieva esercitando un potere dell’età, dell’innamoramento, della sua solitudine. E in queste micro e macro fratture la regista cerca la propria visione degli eventi, quanto stride, i momenti di gioia e l’infelicità. Ciò che è Priscilla nella sua ostinazione contro le proibizioni dei suoi genitori e contro l’epoca che non c’è con evidenza – lo «scandalo» di una quasi bambina – ma affiora tra i commenti maligni delle sue compagne di scuola – lei ha 16 anni lui dieci di più – e le facce poco convinte delle suore dove Presley la manda a studiare padre/fratello maggiore/promesso sposo in tutta castità.

COPPOLA «trasforma» la sua Priscilla (Cailee Spaeny) in una specie di Maria Antonietta, anche se quest’ultima scontava le costrizioni degli accordi di politica e tra poteri di corte, chiusa nella magione che desiderava e che si trasforma appunto in una nuova solitudine e nella mortificazione di una persona giovanissima, invidiata da mezza America ma che per sé non può rivendicare nulla se non il ruolo che Elvis le ha assegnato. E per aderirvi si tuffa nel suo mondo di corte adorante, pasticche, casino, alcol seguendone la presenza distante – è Jacob Elordi – i malumori, le crisi, gli scatti d’ira, le volte che la scaccia e quando la adora.
Era una scommessa molto bella per confrontarsi con un’icona a partire da una pubblica intimità, Coppola a differenza appunto delle reinvenzioni di Maria Antonietta, e più in generale su quel sentimento di estraneità così ricorrente nelle sue storie, non sembra trovare pienamente una complicità col suo personaggio. Non era semplice perché Priscilla è dentro quella storia, quel rapporto amoroso, è lì che esiste e lì che comincia a cercarsi e pian piano, a fatica, a cambiare cercando un’uscita, qualcosa che l’affermi nei suoi desideri. È un po’ questo il film, sospeso tra il rovescio del mito, il romanzo di formazione, la scoperta di sé, tracciati senza enfasi, ma anche senza troppe sfumature. È come se alla regia sfuggisse qualcosa di un personaggio che rimane un po’ in superficie quasi a accompagnare la sua immagine invece che spiazzarla.