Fino al prossimo 31 agosto il re non si muove. Abita all’O2 di Londra, mega centro di intrattenimento che ospita, teatri, cinema, concerti e eventi di ogni genere. La scorsa settimana c’era un enorme festival country. Per la prima volta Elvis at The O2-The Exhibition of His Life, sradica l’artista da Graceland, dove ha vissuto, e lo sposta in Gran Bretagna. Nel catalogo, Priscilla, la ex moglie, è perentoria: «Questa è la più grande retrospettiva mai realizzata in Europa, con oltre 300 oggetti direttamente selezionati dagli archivi di famiglia. Per me e per nostra figlia Lisa, Elvis ha significato moltissimo ma entrambe sappiamo che dobbiamo condividerlo con il mondo, per questo abbiamo consentito che gli oggetti lasciassero, seppur per breve tempo, Graceland, a Memphis». E da qui si parte o si ritorna, perché Graceland è e resta il Tempio. Fino ad allora Londra è il surrogato perfetto per entrare nella vita di una delle icone musicali più importanti del Novecento, per immergersi nelle follie del pop, del capitalismo più sfacciato e immaginifico.

Elvis (1935-1977) è l’America e il suo doppio; è la povertà illustrata da quelle foto a inizio mostra, con genitori devastati dalla grande depressione e dalla perdita, alla nascita, di Jessie Garon, il gemello maggiore di Elvis nato morto (la nascita di Elvis a Tupelo, Mississippi, è celebrata nella prima stanza con il certificato di nascita incorniciato); è l’America delle migrazioni (presente il baule con cui si trasferiscono a Memphis), l’America dei grandi sogni. La mostra è divisa per periodi: Tupelo, Memphis, Elvis mania, il biennio del militare (di stanza in Germania), Graceland, Hollywood, il ’68 Special, i concerti degli anni Settanta. È un’orgia visiva, una specie di Disneyland dove tutto rimanda a qualcos’altro e dove tutto è così incardinato dentro gli immaginari generazionali da sembrare quasi riprodotto, ricostruito. E invece quello è proprio il vestito nero con cui The King (l’appellativo, così come il nome Elvis sono marchi registrati) si presenta all’incontro con Nixon il 21 dicembre 1970: si proporrà come difensore anticomunista, anti-droga e anti-Beatles dell’americanismo e chiederà un distintivo della sezione narcotici; in questo modo – scrive nella sua biografia Priscilla – credeva di poter girare ovunque con armi e droga, senza controlli; quelle sono davvero le divise, l’elmetto e gli stivali utilizzati durante i mesi del militare, peraltro un momento cruciale – dal 1958 al 1960 – che coincide con la fine del primo periodo stellare rock’n’roll e la decisione di dedicarsi essenzialmente al cinema. Procedendo ecco che da dietro una teca spuntano i mitici bonghetti che Priscilla regala a Elvis nel natale del ’59; «avevo 14 anni – racconta – ero in Germania, girai un sacco di negozi per trovare qualcosa di appropriato, li trovai in un negozio di Wiesbaden, li scelsi perché durante il militare suonava tutte le sere, quando li vedo mi tornano in mente un sacco di ricordi». E ancora le licenze, il baule in cui tenere gli anfibi, la valigia che rispedisce a Memphis. Per molti fan l’arruolamento segna la fine di un’era e il declino dell’artista, per questo è centrale visualizzare un mondo marziale di cui si è sempre fantasticato ma di cui si vede poco in giro, a parte le solite foto del taglio di capelli e qualche scatto in divisa. Il fatto poi che in una stessa mostra coesistano le scarpe bicolori indossate nel ’54 dall’artista durante il suo primo concerto con Scotty Moore e Bill Black (chitarrista e contrabbassisti storici di Elvis) e gli anfibi da combattimento rende l’impatto ancora più spiazzante. Finché si entra a Graceland, con ricostruzione di interni, macchinette con cui attraversare i prati giocando a golf, l’assegno/caparra di mille dollari firmata dal padre Vernon per l’acquisto di Graceland (costata 102.500 dollari nel ’57), anelli (lo storico Taking Care of Business, 16 carati), braccialetti, una statua di Gesù che Elvis teneva sul comodino, il telefono dorato, la gigantesca buca della posta all’ingresso di Graceland ecc. Anche Hollywood ha un fascino estremo. C’è lo splendido duetto MG Roadster rosso utilizzato nelle riprese di Blue Hawaii, il film del 1961. Presley se ne innamorò e la acquistò direttamente dalla produzione. Anche questa è una sezione nevralgica, con poster originali e cimeli vari tra cui la maglietta a righe utilizzata nel film Il delinquente del rock and roll (1957). Intorno ci sono Harley-Davidson sparse qui e là, c’è una delle prime Cadillac acquistate dell’artista, c’è il biliardo su cui giocarono i Beatles (Ringo Starr soprattutto) nell’incontro a casa di Elvis a Beverly Hills nel ’65, ci sono i guantoni dorati che gli regala e dedica con firma Muhammad Ali. E c’è la musica, tantissima. Acetati, prime copie, il singolo originale di That’s All Right (Mama) (1954), hit con cui il musicista debutta, i suoi giradischi ecc. Tra gli oggetti «in rotazione», e non presenti mentre scriviamo: la Cadillac rosa con cui Elvis andava in tour e che regalerà alla mamma; il vestito dorato con cui si esibiva nel ’57; quello per il concerto Aloha From Hawaii Via Satellite (1973); presente il completo di pelle (anche questo a rotazione) utilizzato nel ’68 Comeback Special , il ritorno al grande pubblico di Elvis nel natale di quell’anno (fino ad allora Beatles e controcultura avevano offuscato l’aura di Presley).

Da notare che Elvis non si è mai esibito fuori dagli Usa, solo tre concerti in Canada; tra le ragioni il fatto che il manager, il Colonnello Tom Parker, non aveva il passaporto, era immigrato illegalmente dall’Olanda e temeva di essere estradato perché coinvolto a vario titolo in un omicidio avvenuto in patria; in questa luce la mostra diventa quasi la tappa di un tour europeo, con eserciti di splendide vecchiette e relativi consorti che sciamano dinanzi a teche e vestiti. E questo è il grande, principale pubblico della mostra. E a ragione. Le signore – molte coetanee di Elvis – sono scatenate, chiacchierano, ridono, fotografano, commentano, assaporano per la prima volta il mito con cui sono cresciute. Finché intercettiamo lei, ottantenne, bastone e una macchina fotografica usa e getta. Si incanta dinanzi a un classico abito frangiato. Le chiedo se ha mai visto Elvis dal vivo: non sente, ripeto; stavolta annuisce: «L’ho visto in America». E com’era? Pausa, alza appena la testa e sospira: «Wonderful». Riparte per un altro scatto. Viva Elvis.