Digeriti i risultati elettorali, i principali partiti spagnoli cominciano a muoversi su uno scacchiere che sembra persino più complicato di quello di dicembre. Da una parte è vero che il vincitore morale è il Partido Popular di Mariano Rajoy, ma è pur sempre una vittoria con un numero di seggi bassissimo: 137 su 250, la più bassa maggioranza relativa di tutta la storia democratica spagnola, fatti salvi i 123 seggi della scorsa legislatura, che però com’è noto non ha portato ad alcun governo.

Nel sistema costituzionale spagnolo, tecnicamente non è necessaria una fiducia a un nuovo governo. Basterebbe ottenere un numero di sì superiore ai no, dopo la seconda votazione. Ma la difficoltà per superare questo scoglio tecnico senza il quale formalmente non può iniziare la legislatura e il governo iniziare a governare a pieno diritto, il Pp deve trovare qualcuno disposto ad appoggiarlo, con un voto positivo o almeno con delle astensioni tecniche. E, nonostante tutto, il Pp si è fatto molti nemici negli ultimi 4 anni, e la figura di Rajoy in particolare rimane indigeribile per tutti gli altri partiti. Per questo già agita lo spettro delle terze elezioni: “Se non mi lasciate governare, sarà colpa vostra”.

Per ora chi si è mosso di più è Albert Rivera, leader di Ciudadanos, che tra l’altro era ieri a Bruxelles proprio come Rajoy (per il Consiglio Europeo) e Sánchez. Li ha chiamati per invitarli a sedersi a un tavolo a tre. Rajoy gli ha fatto abbassare le penne dicendo che presto inizierà una ronda di contatti con tutti i partiti. Sánchez ha respinto l’invito dicendo che tocca a Rajoy l’iniziativa.

Ma non sarà facile. Se Rivera si dice disposto a entrare in un governo del Pp se c’è “volontà riformista di cambiamento”, ha però ribadito che “con lo stesso governo, con le stesse persone, lo stesso presidente, allora niente, staremo all’opposizione”. Ma Rajoy non ha alcuna intenzione di cedere quello che lui considera il suo “diritto a governare”. Anche coi 32 seggi di Ciudadanos, mancherebbero comunque ancora 7 voti (sì o astensioni) per superare le forche caudine dell’investitura, e per ora nessuno glieli garantisce.

Il Psoe continua a mantenersi nell’ambiguità, con i leader del sud, Andalusia e Extremadura, che chiedono più o meno velatamente che lasci governare il Pp, e Sánchez e chi gli è vicino che garantisce che non faranno mai governare Rajoy, né direttamente né con una astensione. In teoria, per la verità, sarebbe ancora possibile per il Psoe esplorare la strada di un qualche tipo di accordo con Podemos e Ciudadanos per bloccare la strada al Pp, ma se non ha funzionato finora, è ancora più difficile che funzioni oggi con 13 deputati meno (5 socialisti e 8 di Ciudadanos) e una velenosa campagna elettorale appena chiusa. Il 9 luglio si celebrerà un comitato federale chiave che dovrà fissare sia la posizione del partito sul governo, sia la data del prossimo congresso che si doveva tenere a maggio.

È difficile però che le posizioni si muovano prima del 19 luglio, data in cui si riuniscono le camere per la prima volta. Proprio come a gennaio, l’elezione del presidente e dell’ufficio di presidenza farà capire che aria tira fra i 4 partiti. Il Congresso, vada come vada la formazione del governo, giocherà un ruolo molto più centrale in questa legislatura perché qualsiasi esecutivo si formi dovrà negoziare legge per legge con gli altri partiti, e il ruolo dell’ufficio di presidenza sarà chiave. Sembra che anche Filippo VI si stia muovendo discretamente per fare pressioni sui partiti e scongiurare delle terze elezioni. E i “bene informati” non escludono che stavolta il monarca possa far balenare l’idea di un candidato “indipendente”, magari vicino al Pp, per sbloccare la situazione.

Intanto Podemos fa mostra dell’“umiltà” che chiedeva Pablo Echenique lunedì e si sottrae dal centro della scena. Pablo Iglesias cerca di mettere a freno le critiche interne, tra chi pensa che la campagna è stata troppo contenuta e chi invece dà la colpa all’alleanza con IU, chiedendo “prudenza”, di “pensare con calma”, e ricordando che “certamente non c’è una sola causa” per i risultati al di sotto delle aspettative e per il milione e 63mila voti scomparsi.

Intanto, anche senza grande coalizione, i tre partiti Pp-Psoe-C si sono già messi d’accordo su una cosa: Fernández Díaz, il ministro degli interni al centro di un enorme scandalo per i suoi tentativi di costruire prove contro i suoi avversari politici, non dovrà presentarsi davanti alla Diputación Permanente del Congresso, l’organo che gestisce gli interim fra una legislatura e l’altra. La ragione formale è che non ci sono precedenti di audizioni davanti a quest’organo, ma il segnale è abbastanza chiaro, anche perché la richiesta l’aveva fatta proprio Podemos.

(giallo) Come se non bastasse, di ieri è anche la notizia che Artur Mas e due sue ex ministre sono state rinviate a giudizio per aver organizzato la famosa “consulta” indipendentista il 9 novembre 2014. Un’ulteriore fonte di tensione con la Catalogna, già sul piede di guerra per i risultati nel resto del paese (in questa comunità si mantengono forti le opzioni di sinistra e quelle indipendentiste).

La prima gatta da pelare del nuovo governo? La multa di Bruxelles per lo sfondamento del debito, che già a maggio ha superato il limite per tutto l’anno.