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Ritorno a Cascina Spiotta

Ritorno a Cascina Spiotta

Storie Verso un nuovo processo per la sparatoria del 1975 in cui morirono la brigatista Mara Cagol e il carabiniere Giovanni D’Alfonso. Una sentenza c’era già, ma è andata perduta

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 2 giugno 2024

Cosa hanno in comune una sparatoria del 1975 e un’alluvione del 1994? La risposta si chiama «Erebo», come il mondo sotterraneo dei morti nella mitologia greca. È il nome che i magistrati torinesi Emilio Gatti e Ciro Santoriello, insieme a Diana De Martino della procura nazionale antimafia e antiterrorismo, hanno assegnato al fascicolo aperto nel 2022 sui fatti avvenuti il 5 giugno del 1975 alla cascina Spiotta, in provincia di Alessandria, quando in uno scontro a fuoco tra Brigate Rosse e carabinieri morirono la trentenne Margherita Cagol, «Mara», e l’appuntato Giovanni D’Alfonso, di 45 anni. Nell’occasione restarono feriti anche due militari dell’Arma: Rosario Catafi e Umberto Rocca, che perse un braccio e un occhio. Un giorno prima un nucleo armato aveva rapito l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, «il re dello spumante», infine liberato incolume. L’episodio ha una sua rilevanza nella storia del terrorismo italiano perché, di fatto, segnò un cambio di stagione, con le Brigate rosse che cominciarono progressivamente ad alzare il livello dello scontro, imboccando una strada fatta di lutti e tragedie, fino alla definitiva sconfitta, militare e politica, degli Anni 80.

LA STORIA, solo apparentemente sepolta dal tempo, è ricominciata nel 2021, quando Bruno D’Alfonso, figlio di Giovanni, ha inoltrato alla procura di Torino un esposto. Nel 2022 ancora D’Alfonso si era inventato pure un altro esposto, contro i P38-La gang, gruppo trap, o per usare parole loro, «collettivo musicale artistico insurrezionale», che canta di incubi sovietici e fantasie a mano armata. I componenti della band, tutti tra i 25 e i 33 anni, sono stati tutti indagati, sottoposti a perquisizioni e accusati di istigazione a delinquere e apologia di reato con l’aggravante del terrorismo. Le indagini sulla cascina Spiotta, comunque, sono decollate solo tra il 2022 e il 2023, con l’avviso di chiusura che è stato inviato lo scorso marzo a quattro persone notissime alle cronache italiene (e ormai anche ai libri di storia): Lauro Azzolini, Renato Curcio, Mario Moretti e Pierluigi Severino Zuffada. Sostiene la procura che Curcio, Moretti e Cagol «decidevano ed ordinavano un sequestro di persona (Gancia, ndr) a scopo di estorsione per l’autofinanziamento» dell’organizzazione. In quella circostanza, inoltre, i tre «definivano le modalità di gestione del sequestro», «individuavano i soggetti che dovevano partecipare all’azione, coloro che dovevano recapitare la richiesta di riscatto, il luogo ove custodire l’ostaggio e chi doveva provvedere alla sua sorveglianza» e «davano ai partecipanti la seguente direttiva: “se avvistate il nemico vi sganciate prima del suo arrivo, se venite colti di sorpresa ingaggiate un conflitto per rompere l’accerchiamento”». Così, «in esecuzione della direttiva ricevuta», all’arrivo dei carabinieri, i due brigatisti «a guardia dell’ostaggio», Cagol e Azzolini, «ingaggiavano un conflitto a fuoco contro i carabinieri, lanciando alcune bombe a mano ed esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco». Questi i fatti. A Curcio e Moretti vengono contestate poi anche due aggravanti, la finalità di terrorismo e l’aver «commesso il fatto al fine di conseguire l’impunità dal delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione e contro un pubblico ufficiale nell’adempimento delle sue funzioni».

PER AZZOLINI la procura ha già chiesto per due volte l’arresto: il 10 febbraio del 2023 e poi di nuovo un mese dopo. C’è un particolare, a questo punto, che va sottolineato: per i fatti della cascina Spiotta, Azzolini era stato processato e assolto con formula piena nel 1987. Ma, incredibile a dirsi, quella sentenza è andata perduta a causa dell’alluvione del 1994. Quindi, di fatto, è come se non esistesse. Mercoledì scorso l’avvocato Davide Steccanella, difensore di Azzolini, ha depositato una lunga memoria di 162 pagine che smonta un pezzo dopo l’altro la nuova indagine. «Il 13 luglio 2023 – scrive il legale – il gip definisce espressamente carente dal punto di vista indiziario il materiale raccolto dalla procura. Nel chiedere l’arresto chi indaga aveva ipotizzato il pericolo di fuga di Azzolini», che tra qualche mese compirà 81 anni. Sorge anche un dubbio piuttosto consistente sulle «nuove prove» inserite nel fascicolo: il Ris sostiene di aver rinvenuto impronte digitali di Azzolini su un documento dattiloscritto ritrovato nel 1976 in occasione dell’arresto di Curcio. Ma, spiega Steccanella, «considerato che si tratta di un documento che venne rinvenuto ben sei mesi dopo i fatti presso l’abitazione di Curcio non pare di per sé solo sufficiente a delineare la gravità indiziaria».

UN’ALTRA NOTA riguarda la richiesta di arresto per Azzolini del 10 febbraio, respinta dal gip senza che la procura facesse ricorso. Perché? Perché in questo modo l’indagato «avrebbe saputo delle intercettazioni col trojan rendendo vano ogni ascolto successivo». Agli atti, infatti, ci sono anche diverse intercettazioni ambientali dell’ex br, mezzi di ricerca della prova introdotte con il codice del 1989, dunque non applicabili in un processo cominciato con il codice Rocco. Qui, per Steccanella, il vizio è procedurale. Il trojan è oltretutto uno strumento d’indagine assai invasivo che la Cassazione raccomanda «per casi di attualità criminale e non certo storica».

A PROPOSITO DI FACCENDE più storiografiche che giudiziarie, nei documenti della procura Curcio e Moretti vengono tirati in ballo in quanto dirigenti delle Brigate rosse, fatto notorio da decenni, e sulla base del già citato documento trovato nel 1975 e realizzato senza dubbio dopo la sparatoria della cascina Spiotta. «È già abbastanza sconcertante che si celebri un’udienza preliminare per un fatto di cinquant’anni fa – commenta Vainer Burani, l’avvocato di Curcio -. Dalle stesse carte del procedimento, poi, non emerge nulla di nuovo rispetto a quanto è già emerso in passato». Zuffada, per concludere, è accusato di aver partecipato al sequestro Gancia perché prima avrebbe condotto l’imprenditore nella cascina e poi avrebbe consegnato la lettera di riscatto ai suoi familiari: reati in ogni caso ormai prescritti. Da qui la richiesta di non luogo a procedere. La risposta non arriverà a breve: l’udienza preliminare a Torino è stata fissata per il prossimo 24 settembre.

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