«Risultato falsato, al referendum in Turchia ha vinto il no»
Dopo il voto Intervista al giornalista e analista turco Murat Cinar: «Più del 50% del paese è contro questa costituzione, un numero di cittadini che non è composto solo dall’elettorato del Chp e dell’Hdp ma anche dal quello dell'Akp che teme troppi poteri al presidente»
Dopo il voto Intervista al giornalista e analista turco Murat Cinar: «Più del 50% del paese è contro questa costituzione, un numero di cittadini che non è composto solo dall’elettorato del Chp e dell’Hdp ma anche dal quello dell'Akp che teme troppi poteri al presidente»
«I risultati non sono reali e l’analisi del voto è difficile da fare in modo sano. La mappa del voto che abbiamo in mano va ribaltata a favore del no». Murat Cinar, giornalista e analista turco, è diretto: il risultato del referendum non è quello effettivo, ci spiega.
In Turchia ha dunque vinto il no?
Non siamo di fronte ad un dato reale, ma ad un risultato frutto di una giornata di illegalità. Un voto pieno di imbrogli.
Esiste però una precisa geografia del voto? Le città hanno detto no, le zone rurali hanno appoggiato la riforma.
Più del 50% del paese è contro questa costituzione, un numero di cittadini che non è composto solo dall’elettorato del Chp e dell’Hdp. I no sono composti anche dagli elettori di Erdogan che lo voterebbero anche domani, ma che non vogliono che abbia tanto potere. E poi ci sono la maggior parte degli elettori dei nazionalisti del Mhp.
Questo è il profilo dell’elettore no: repubblicani, sinistra e un 15-20% dell’elettorato di Erdogan. Ovvero le coste dell’Egeo (roccaforte Chp), una parte del sud-est che è fortezza dell’Hdp con alcune perdite (Maras, Urfa, Antep, Adiyaman, Mus, Kars che teoricamente dovrebbero seguire la linea Hdp ma hanno votato sì), la costa mediterranea che, se ha delle municipalità in mano all’Akp, ha votato per lo più no.
Per il sì hanno votato conservatori, nazionalisti radicali, zone rurali, ma anche una parte dei kurdi: le città più politicizzate a sud est hanno votato no, ma quelle più conservatrici vivono una frattura. Forse hanno voluto mandare un messaggio a Erdogan: ti sosteniamo se molli l’alleanza con i nazionalisti.
E all’estero?
Tredici su 58 paesi all’estero hanno detto sì. Significa che in 45 ha prevalso il no: in Cina, Russia, Usa, Australia, penisola araba e nella maggior parte dei paesi europei. Un numero non da poco.
In Germania, Austria, Belgio, Olanda, Belgio, dove ha prevalso il sì, operano associazioni conservatrici e fondamentaliste che rappresentano un’espressione politica e partitica. Da anni lavorano per conto di Erdogan e dell’Akp all’estero. Stiamo parlando di sistemi di fraternità, comunità religiose, reti di imprenditori che hanno la sua stessa ideologia, la stessa cosa che in Turchia fanno da più di 30 anni le comunità religiose. Non accade a Smirne e Istanbul, ma nelle zone rurali è così: è una tradizione feudale e conservatrice che si è trasferita all’estero.
Il finto conflitto che si è creato sulla questione dei comizi vietati ha dato dei risultati, per la furbizia strategica del governo turco o la stupidità dei politici locali: è passato il messaggio di “tutti ci vogliono male, siamo in pieno sviluppo e provano a fermarci”, un richiamo all’impero ottomano e ai nemici del passato.
Nonostante questi risultati, Erdogan andrà avanti con il suo progetto?
Se un governo decide di tenere un referendum tanto importante in stato di emergenza, 8-9 mesi dopo un tentato golpe, con decine di migliaia di persone in carcere, dopo una campagna elettorale squilibrata e aggressiva, vuol dire che non ha alcun attenzione per le critiche europee né per lo squilibrio sociale nel paese. Ha un obiettivo estremamente personale, di tutela di se stesso: questo referendum è un salvagente per il presidente, che ha urgentemente bisogno di tenere sotto controllo il potere esecutivo, giudiziario, legislativo.
Questo voto è figlio della paura, si è svolto a tutti i costi. Ricordiamo che nel 2013 ha subito un pazzesco divorzio con il suo maggiore alleato, l’imam Gulen; nel dicembre 2014 ha perso quattro ministri dimessi; lo scorso anno ha visto un tentato colpo di stato. Nel mentre ha vissuto la sconfitta elettorale del 7 giugno 2015.
Dobbiamo quindi aspettarci un annullamento del ruolo di opposizioni e parlamento, come promesso?
Erdogan negli ultimi 17 anni ha governato con la paura, ha lanciato una sfida elettorale tanto aggressiva per ottenere poteri immensi e portare a casa il proprio disegno politico ed economico. Gli scenari sono due: o ripristina il sistema precedente perché si sente coperto dalle “tutele” costituzionali che si è creato, dunque procede con le scarcerazioni e abbassa il livello di stress sul paese sapendo di averne il controllo assoluto; o continuerà con la sua politica aggressiva.
La seconda opzione è ovviamente la più probabile: zittire tutte le opposizioni, ma anche governo e parlamento. È anche possibile che Erdogan opti per le elezioni anticipate per poter entrare in parlamento in maniera massiccia. Di certo, prima compirà un rimpasto del Consiglio della Magistratura così da eliminare le ultime “mele marce” rimaste per tutelarsi ancora di più.
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