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Ristrutturazione permanente, Il modello a perdere di Stellantis

L'ad di Stellantis, Carlos Tavares ApL'ad di Stellantis, Carlos Tavares – Ap

Gli errori e i ritardi Carlos Tavares davanti ai parlamentari ha difeso l’egemonia simbolica e materiale dell’uso dell’automobile, elevandola a fondamento delle democrazie moderne, nelle quali svolgerebbe la funzione essenziale di garantire la libertà di […]

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 18 ottobre 2024

Carlos Tavares davanti ai parlamentari ha difeso l’egemonia simbolica e materiale dell’uso dell’automobile, elevandola a fondamento delle democrazie moderne, nelle quali svolgerebbe la funzione essenziale di garantire la libertà di movimento. Nella transizione verso la mobilità elettrica, tale libertà è messa a rischio – è la tesi dell’amministratore delegato Stellantis – dal costo eccessivo delle auto a batteria, più care del 40% rispetto a quelle a combustione interna. Per proteggere tale libertà, occorre quindi produrre auto elettriche a un costo «accessibile» per la «classe media».

Il come raggiungere tale obiettivo è tuttavia passato in secondo piano. Seppur l’attenzione si sia concentrata sulla richiesta di incentivi, Tavares ha lasciato l’opzione alla buona volontà del legislatore. Ha insistito invece sulla necessità di abbattere i costi, tramite un recupero di produttività ed efficienza, che per l’85% ha scaricato sulle aziende della filiera, in proporzione al valore aggiunto prodotto. Anche sulla prospettata gigafactory di Termoli, il manager ha avvertito che l’apertura sarà subordinata all’andamento della domanda di veicoli elettrici.

In sintesi, la transizione all’auto elettrica in Italia ci sarà, ma solo se ci saranno i suoi clienti. In assenza, Stellantis è pronta a fare marcia indietro e a modificare il mix produttivo in favore delle auto a combustione. Se lo scaricabarile è chiaro, è mancata l’assunzione di responsabilità rispetto al declino ormai decennale in cui versa il settore. Nessun riferimento all’efficacia del piano industriale al 2030 rispetto alla tenuta occupazionale e alla ricadute sulla filiera, niente sullo stato di avanzamento tecnologico degli stabilimenti italiani e la loro prontezza nel gestire l’elettrificazione della gamma. Se non ad altro, l’audizione di Tavares è servita ad attestare la mancanza di una strategia di sviluppo produttivo, indispensabile per affrontare la transizione.

Anni di assenza di vere politiche industriali, a garanzia dell’ammodernamento produttivo e dell’occupazione, hanno sancito l’incapacità del decisore politico di gestire le innumerevoli crisi e transizioni che il settore a subito, in primis quella del 2008. Le conseguenze delle politiche di incentivi senza condizionalità le hanno subite lavoratrici e lavoratori in termini di peggioramento delle condizioni di lavoro e ricorso sistematico agli ammortizzatori sociali per sottoproduzione. La situazione è aggravata dalla scarsa efficacia della regolamentazione dei processi di delocalizzazione. In questo contesto, la contrattazione collettiva in Italia ha avuto pochi margini nel frenare il declino industriale. Le ragioni vanno sicuramente ricercate in un sistema istituzionale che, contrariamente a quanto avviene in Germania o nei paesi scandinavi, limita il potere d’influenza e indirizzo dei rappresentanti dei lavoratori sulle decisioni manageriali. Ma negli ultimi anni gli stessi sindacati hanno spesso rinunciato a costruire le condizioni e i rapporti di forza necessari all’esercizio di tale potere. Dal referendum di Pomigliano del 2010 a questa parte, Fiat-Fca-Stellantis ha rappresentato forse l’esempio apicale di un modello di contrattazione subalterna alle logiche di ricatto insite al processo di «ristrutturazione permanente», ossia un perdurante stato di crisi e minacce occupazionali, che induce ad accettare continue concessioni.

Nell’ambito della transizione ecologica, tuttavia, contrattare da una posizione subalterna rischia di avere conseguenze nefaste non solo dal punto di vista sociale ma anche da quello ambientale. Nonostante la retorica europea sull’importanza del dialogo sociale per assicurare una transizione “giusta”, il modello adottato è perlopiù imposto “dall’alto”. Lo dimostra, tra l’altro, la richiesta dell’associazione padronale europea dell’automotive (Acea) di rivedere la regolazione europea sulle emissioni. Seppur Stellantis non si è associata, la scelta, come ha spiegato lo stesso Tavares, è motivata dalle dinamiche di concorrenza con le altre case produttrici. Peraltro, le stesse direttive europee sull’elettrificazione vanno nella direzione di rattoppare l’egemonia dell’automobile, senza affrontare la riconversione radicale del modello di mobilità privata.

L’assenza di prospettive di una transizione reale impone oggi ai sindacati il paradosso di dover riempire questo vuoto manageriale, tenendo assieme la contrattazione non solo di come si produce (in termini di occupazione, salari, condizioni di lavoro) ma anche di cosa si produce. Altrimenti, il rischio è che nelle fabbriche in crisi s’inneschino dinamiche micro-corporative che, salvaguardando temporaneamente l’occupazione, finiscono per favorire il mantenimento dell’attuale paradigma produttivo, ad oggi progressivamente indirizzato verso l’economia di guerra.

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