Bezalel Smotrich non è tipo da nascondersi dietro le parole. Né da temere di dare nuove cartucce a chi all’Aja, Sudafrica in testa, mette in fila le dichiarazioni genocidarie del governo israeliano. Ieri il ministro delle finanze, leader dell’estrema destra suprematista, ha detto che affamare a morte due milioni di palestinesi è la cosa più morale da fare: «Portiamo aiuti perché non c’è scelta…Nessuno ci permetterebbe di causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se sarebbe giustificato e morale, fin quando i nostri ostaggi non torneranno a casa».

Smotrich se la prende con «la realtà in cui si vive oggi», con gli impedimenti che il diritto internazionale pone a un genocidio. Che poi di aiuti dentro Gaza Israele non ne sta quasi facendo entrare dal 6 maggio: con la presa del valico di Rafah e la sua distruzione il numero di camion umanitari in ingresso è crollato di due terzi.

IERI dal valico di Kerem Shalom è entrato altro: i corpi di 84 palestinesi, dei 2mila sottratti dall’esercito israeliano a Gaza – spesso scavando nei cimiteri – per verificarne l’identità e individuare eventuali ostaggi. Alla riconsegna ha preso parte la Protezione civile palestinese e la Croce rossa. I cadaveri sono stati portati all’ospedale Nasser, per essere poi sepolti nel cimitero turco a Khan Younis. Tutti insieme, dentro i sacchi blu, senza nome. Perché non è stato possibile riconoscere nessuno.

«È la quarta volta che vediamo cadaveri di palestinesi riportati a Gaza – ha raccontato il giornalista Hani Mahmoud dal luogo della sepoltura – Spezza il cuore che nessuno di quei corpi sia identificabile. Le famiglie dei dispersi hanno cercato tra i sacchi di plastica qualcosa che gli facesse individuare i propri cari. Ma sono quasi del tutto decomposti, irriconoscibili».

Quel che si sa è che sono parte dei 39.623 palestinesi uccisi nella Striscia dal 7 ottobre, quelli accertati, a cui si aggiungono circa 10mila dispersi. Ieri nei raid israeliani sono stati uccise circa 40 persone. Tra loro dei pescatori che si erano avventurati in mare per procurarsi del cibo e presi di mira dalla marina israeliana.

Ieri è proseguita anche l’operazione di ricerca di eventuali sopravvissuti nei bombardamenti di domenica contro due scuole a Gaza City, la Hassan Salameh e la al-Nasr: mancano all’appello 16 persone. Si scava a mani nude, scrive la stampa locale, perché di bulldozer ancora funzionanti ce ne sono rimasti pochissimi e se ci sono a mancare è il carburante. Finora i corpi recuperati sono una trentina, di cui l’80% bambini, secondo i soccorritori.

NELLE ULTIME settimane sono aumentati i raid israeliani su zone identificate come «sicure» (e che ormai ammontano ad appena il 14% di Gaza) e su rifugi per gli sfollati. Parte, forse, della strategia che il premier israeliano Netanyahu ha definito domenica della «massima pressione» militare su Hamas.

Solo così il gruppo rilascerà gli ostaggi senza troppe condizioni. Non sembrano d’accordo i suoi stessi negoziatori con cui, scrive la Reuters citando fonti interne, si ampliano le fratture: il team che tiene i contatti con i mediatori di Doha e Il Cairo e il ministero della Difesa accusano il premier di sabotare il dialogo con Hamas.

Nelle stesse ore la Cnn, in un’inchiesta condotta con l’American Enterprise Institute, smonta la narrazione-Bibi: dei 24 battaglioni di Hamas solo tre sono stati messi fuori gioco. Otto sono parzialmente operativi, gli altri 12 sono stati ricostituiti dopo i danni subiti trasformandosi in guerriglia.