«Non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza ” sarebbe una insanabile contraddizione». Sergio Mattarella parla a Trieste alla settimana sociale dei cattolici. E, in un lungo discorso, in cui cita a più riprese Norberto Bobbio, impartisce una dotta lezione di democrazia e Costituzione rivolta a chiunque pensi di ridurre l’esercizio democratico al voto per un capo, e a chi ritenga che l’investitura popolare possa considerarsi come viatico per un potere assoluto.

«LA DEMOCRAZIA COME forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce». Di qui l’avvertimento sulla necessità di non confondere la «volontà generale» con quella di una maggioranza che viene abusivamente considerata «come rappresentativa della volontà di tutto il popolo». Questa interpretazione, come è stato in passato, può rivelarsi «più ingiusta e più oppressiva della volontà di un principe», dice Mattarella citando una frase del giurista Emilio Tosato, che contestava un assunto di Rousseau, alla settimana dei cattolici nel 1945.

«Un fermo no», quindi, «all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice». «La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile di leale e irrinunziabile vitalità democratica». Servono «limiti alle decisioni della maggioranza che non possano violare i diritti delle minoranze».

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IL CAPO DELLO STATO non cita le riforme costituzionali all’esame del Parlamento, come l’elezione diretta del premier fortemente voluta da Meloni o le ipotesi di riforma elettorale in senso ancora più maggioritario evocate ieri dalla ministra Casellati. E tuttavia avverte sui rischi presenti nei tentativi di imbrigliare l’espressione del voto popolare. Quando, ad esempio, «il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori». Guai anche a pensare che l’esercizio della democrazia si consumi «soltanto con la irrinunziabile espressione del proprio suffragio nelle urne». Al cuore della democrazia, ricorda il presidente, «ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita».

LE ISTITUZIONI DUNQUE funzionano se «c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune». Se «non si cede «all’ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione». E se «l’universalità dei diritti non viene menomata da condizioni di squilibrio sociale», se «la solidarietà resta il tessuto connettivo di una economia sostenibile, se la partecipazione è viva e diffusa». Condizioni che, nell’Italia e nell’Europa di oggi, si stenta a ritrovare. Ecco perché «avvertiamo tutta la difficoltà e a volte persino un certo affanno nel funzionamento delle democrazie» che, accanto a problemi antichi, incontrano «criticità inedite». «La democrazia non è mai conquistata per sempre», avverte Mattarella, ricordano i rischi di «soluzioni tecnocratiche» e anche, citando Tocqueville, la possibilità di implosione di «democrazie senz’anima».

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Non a caso, ricorda il presidente, Giuseppe Dossetti alla Costituente pose il problema del «”vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”». Un obiettivo ambizioso di «democrazia sostanziale» che mai come oggi è lontano dall’essere realizzato. E tuttavia Mattarella non si rassegna a questo stato delle cose e ribadisce come una «partecipazione consapevole trova origine nell’inverarsi del principio dio eguaglianza». Un passaggio indispensabile per una necessaria «alfabetizzazione democratica».

LA PRIMA PARTE della Costituzione, dice Mattarella, già contiene i principi essenziali cui ispirarsi per una democrazia piena e partecipata. Dunque sarebbe «sbagliato e rischioso cedere a sensibilità contingenti» e «inserire richiamai a temi particolari» nella prima parte della Carta, «ignorando che questa li ricomprende comunque in base ai suoi principi e valori di fondo».

Il Capo dello Stato torna a anche su un tema che, in occasione del 2 giugno, era stato oggetto di un duro attacco da parte della Lega: la sovranità europea. «Se in passato la democrazia si è inverata negli Stati, oggi si avverte la necessità di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri». Un modo per rafforzare «la sovranità del popolo disegnata dalle nostre Costituzioni».