La prima parte della strategia delle opposizioni contro la legge sull’autonomia differenziata scatta ufficialmente domani, quando sarà depositato in Cassazione il quesito per il referendum abrogativo.

Sarà una presentazione particolarmente affollata dato che i soggetti ricorrenti sono almeno 33. Non solo sindacati (Cgil e Uil) e partiti (Pd, Avs, M5s) ma anche decine di associazioni, a partire da Anpi, Arci e Acli. Non è solo un segnale di unità e di convergenza su un obiettivo urgente ma anche una mera questione economica. Causa tempi ristretti, l’indefesso lavoro dei banchetti che le realtà più organizzate (come la Cgil e il Pd attraverso le feste di partito) possono mettere in campo potrebbe non bastare a raccogliere le 500 mila firme necessarie. Ragion per cui alla scorsa riunione del comitato promotore si era deciso di utilizzare anche una piattaforma privata di raccolta e autenticazione delle firme, dato che quella statale, già prevista da un emendamento a firma Nordio al dl semplificazioni del 2021 e mai attivata, potrebbe non arrivare in tempo. Dopo le pressioni ricevute (e le accuse di tergiversare per aiutare la presidente del Consiglio che si sentirebbe insediata da tutti i referendum in arrivo), Nordio, ora ministro della Giustizia, ha deciso di accelerare, se così si può dire. I tempi tecnici previsti, tra collaudo della piattaforma e decreto, ben che vada renderanno lo strumento disponibile solo da metà agosto. Un rischio che per i promotori del referendum non può essere ignorato. Ecco perché, nonostante i costi, verrà attivata una piattaforma privata. La spesa, intorno al milione di euro, sarà anticipata dalla Cgil. Tuttavia la legge prevede un rimborso per i ricorrenti (50 centesimi circa per ogni firma autenticata) ed ecco anche spiegato il motivo per cui, domani, quando ci sarà il deposito, in Cassazione potrebbe esserci una folta rappresentanza di tutti i soggetti coinvolti.

Anche la seconda parte della strategia anti “spacca Italia”, come è stata definita la proposta di devoluzione leghista, e cioè quella in mano alle regioni di centro sinistra, sta procedendo, quasi spedita. Oggi i governatori di Sardegna, Campania, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia dovrebbero riunirsi per stabilire come procedere. Vincenzo De Luca ha già annunciato un consiglio regionale straordinario per lunedì prossimo, mentre ieri le commissioni Statuto e Bilancio dell’assemblea dell’Emilia Romagna hanno dato il via libera alla richiesta di Pd, M5s, Avs e Azione di indire un referendum, dopo un lungo scontro con il centrodestra che ha abbandonato la seduta. Ma se tutto questo era già stato previsto dal governo, non altrettanto prevedibile e quindi gestibile è la reazione di alcune regioni del centro e sud Italia guidate dalla destra.

Dopo le tensioni tra Zaia e Musumeci e oltre all’indecisione del presidente della Calabria, il forzista Occhiuto (al quale una possibile via d’uscita dall’impasse è stata offerta, suo malgrado, dall’appello di centinaia di sindaci calabresi contrari all’autonomia) a stupire la maggioranza è la posizione di Rocca. Il presidente della Regione Lazio, espressione di FdI, ha dichiarato ieri che, al contrario del suo collega veneto, non attiverà l’autonomia, «anche perché Zaia non ha 20 miliardi di debito, se avessi una Regione finanziariamente in salute probabilmente la chiederei anche io». Persino il ministro Pichetto Fratin manifesta perplessità paragonando l’autonomia a un coltello che serve «per tagliare il salame ma anche per accoltellare il vicino». Crepe nel fronte autonomista troppo evidenti perché le opposizioni non le cavalchino. «L’intervento di Rocca suona come un de-profundis», sintetizza Filiberto Zaratti, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra nella commissione Affari costituzionali della Camera.