Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Quelli li ha fatti Roberto Calderoli. La riforma sul premierato elettivo, infatti, per venire incontro alle richieste del ministro leghista è stata scritta in modo tale da rischiare di non essere mai applicata. Ne ha parlato di recente Peppino Calderisi, grande esperto dei marchingegni elettorali, ospite all’Università la Sapienza dei professori Stefano Ceccanti e Francesco Clementi. Ed è curioso che a evidenziare uno dei limiti più seri di tutta l’impalcatura che per Meloni rappresenta «la madre di tutte le riforme» siano proprio gli esponenti di una linea che sul premierato ha scelto di collaborare con la maggioranza.

Il tranello teso dal padre del Porcellum alla ministra Casellati, nasce dal combinato disposto tra come è scritta la riforma costituzionale e la norma transitoria. Il ddl Casellati omette una serie di elementi decisivi per l’elezione diretta del presidente del consiglio, rinviandone la definizione alla legge elettorale. La riforma sarà applicabile solo dopo che la legge elettorale sarà operativa. Con la prospettiva che non lo sarà mai.

Il ddl Casellati, infatti, rinviando tutto alla legge elettorale, afferma solo che essa deve «garantire» la maggioranza al premier. Ma, ha osservato Calderisi, «non dice con quante schede, se due o tre, o come evitare esiti difformi tra camera e senato ed eventualmente esiti difformi dalla terza scheda del premier». E tace molte altre cose. Per esempio se per eleggere il premier occorre il 50% dei voti, oppure se c’è una soglia minima per attribuire il premio di maggioranza. «Questo perché – ha ricordato Calderisi – se la fissasse dovrebbe dire che c’è il ballottaggio se non la si raggiunge; ma la Lega non vuole il ballottaggio. Hanno pensato furbescamente di rinviare tutto alla legge elettorale che si farà. Ma non funziona».

Perché dunque? “Ignorano le peculiarità del sistema italiano”, con il bicameralismo perfetto, «in cui le due camere sono autonome». Cosa accadrà al momento di varare la legge elettorale? «Se non mettono il ballottaggio, la legge sarà incostituzionale perché il premio è sproporzionato», come hanno detto le sentenze della Consulta del 2014 e del 2016. «Se invece mettono il ballottaggio, la legge sarà altrettanto incostituzionale se non c’è una “copertura” costituzionale che faccia avere al ballottaggio lo stesso esito alla camera e al senato». E nel ddl Casellati questa copertura manca. Stesso problema per il voto degli italiani all’estero: «Serve una norma costituzionale per dire che il loro voto va ponderato, e che non vale come quello dei 50 milioni di italiani che vivono in Italia. Se non c’è la copertura costituzionale e si mette tutto nella legge elettorale, si fa ricorso alla Consulta che la boccia. Insomma «è un Comma 22». Quindi «o alla Camera modificano il testo introducendo norme di buon senso oppure si infilano in un cul de sac, in un ingorgo istituzionale tremendo».

Ieri è stata direttamente la ministra delle riforme Casellati a dare un primo indizio importante di come proverà a uscire dall’angolo. «La legge elettorale a cui sto lavorando – ha detto – prende come punto di partenza, il Mattarellum, perché è un sistema misto, maggioritario e proporzionale, che potrebbe favorire la formazione di aggregazioni prima del voto anziché dopo. E questo condurrebbe verso il bipolarismo, che è auspicabile poiché contribuirebbe a superare la frammentazione dei partiti che tante difficoltà ha causato al nostro paese». Un indiretto omaggio al presidente della Repubblica al cui nome è legata la legge maggioritaria (al 75%) in vigore dal 1993 al 2005 con la precisazione che «è solo una mia idea sulla quale mi dovrò confrontare sia con la maggioranza che con le opposizioni». Intanto oggi il premierato, dopo l’approvazione del senato, arriva in commissione alla camera.