Via libera all’unanimità, nel Consiglio dei ministri di ieri, al decreto legislativo che attua la delega per la riforma della giustizia penale. Il testo in 99 articoli passa adesso alle commissioni giustizia di senato e camera che dovranno esprimere le loro valutazioni, non vincolanti.

Il termine per la conclusione del percorso di riforma scade il 19 ottobre, ma l’obiettivo del governo è quello di chiudere prima delle elezioni del 25 settembre ed evitare il rischio che tutto salti. Anche perché l’intervento sulla giustizia penale rientra tra gli obiettivi del Pnrr. L’Italia è il paese del Consiglio d’Europa che più di tutti è stato condannato dalla Corte di Strasburgo per l’irragionevole durata dei suoi processi (il secondo, la Turchia, ha la metà delle condanne).

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Negli obiettivi del Pnrr è prevista una diminuzione del 25% del disposition time – la durata media dei processi – entro il 2026. Cosa che la ministra Cartabia – che ieri sera si è detta «molto soddisfatta» – conta di poter fare intervenendo sulla procedura penale, sul sistema delle sanzioni e spingendo sulla giustizia riparativa.

Dal punto di vista delle procedure, sono previste spinte per la digitalizzazione delle notificazioni, una limitazione alle impugnazioni (inammissibili quando manca la specificità dei motivi), trattazione dei ricorsi in appello solo in forma scritta, termini più stringenti per le indagini preliminari e soprattutto che il pm dovrà chiedere l’archiviazione tutte le volte che «gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna».

Dal punto di vista delle sanzioni, il decreto attua la delega nel senso di ampliare le possibilità di sospensione della condanna con la messa alla prova e di accedere alle pene sostitutive delle detenzioni brevi (fino a 4 anni). Prevista anche una tagliola per incentivare l’effettività delle pene pecuniarie: chi non paga rischia di scontare in carcere o ai domiciliari.

Infine la ministra ha spinto sul tema della giustizia riparativa, con la previsione di appositi centri presso ogni Corte d’appello dove provare a far incontrare le vittime e gli autori del reato in modo consensuale e volontario