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Rifiuti elettronici, il riciclo non decolla

Rifiuti elettronici, il riciclo non decolla

Clima Ogni anno a livello globale la quantità Raee aumenta in media di 2,3 miliardi di kg. Nel 2022 ha raggiunto 7,8 kg pro capite, di cui solo il 22,3% è stato riciclato

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Una corsa all’acquisto, all’ultimo modello, alle migliori prestazioni. I nostri oggetti contengono parti del mondo remote, miniere altamente inquinanti e discariche a cielo aperto. Come una catena di montaggio inarrestabile – tra estrazione con elevati tassi di tossicità, produzione e vendita – è un flusso senza fine quello dei dispositivi elettronici e di tutto il resto della tecnologia, salvo poi incepparsi quando il presente diventa passato e non resta che un rifiuto.

SE PER UN VERSO DAL PUNTO DI VISTA normativo l’Europa è corsa ai ripari con un regolamento ad hoc sulle materie prime strategiche e target stringenti sulla raccolta dei rifiuti che le contengono, dal punto di vista pratico l’approvvigionamento delle terre rare è un’ambizione ancora tutta da strutturare. Ma non solo, lo è anche il recupero. I 17 elementi chimici della famiglia dei metalli, difficili da estrarre dai minerali, sono fondamentali per la produzione di batterie, dispositivi elettronici, turbine eoliche, tv, macchine elettriche e molto altro. Le grandi potenze mondiali ambiscono ad averne di proprie e in quantità sempre maggiore, per far fronte alla domanda che si attesta in perenne crescita. Il primato per le esportazioni lo detiene la Cina, con il 37% delle riserve mondiali e il controllo su numerosi siti minerari nel continente africano. Seguono gli Stati Uniti con il 12%, il Myanmar con il 10,5% e l’Australia con il 10%. Non esistendo regole di mercato i prezzi subiscono oscillazioni costanti.

LA GROENLANDIA È UNA TERRA vergine da spartirsi, se non ci fosse un’opposizione netta da parte degli abitanti. Le terre rare fanno parte delle 34 materie prime critiche, considerate strategiche per la transizione ecologica. Occorrerebbe chiedersi anzitutto la transizione di chi? Perché di fatto il modello attuale è ancora quello estrattivo con tutte le conseguenze nocive per salute e ambiente nei siti, spesso ubicati nei Paesi più poveri, in cui sorgono le miniere. L’Ue – si legge sul sito del Consiglio europeo – per alcune materie prime critiche dipende da un unico paese: è il caso delle terre rare pesanti che la vede vincolata al 100% alla Cina, del boro importato per il 98% dalla Turchia e del platino fornito per il 71% dal Sud Africa. C’è un mercato di piccole dimensioni anche all’interno dell’Europa con il carbone da coke e il rame provenienti dalla Polonia, l’arsenico dal Belgio, l’afnio dalla Francia, lo stronzio dalla Spagna e il nichel dalla Finlandia.

PER IL 2030 L’UE HA FISSATO degli obiettivi stringenti, al momento di difficile raggiungimento per molti dei paesi comunitari. Il primo è che il 10% del consumo annuo dell’Ue provenga da estrazioni interne. Il dibattito sulla riapertura delle miniere ha coinvolto anche l’Italia. Si è deciso che almeno il 40% del consumo annuo dell’Ue deve provenire da trasformazione interna, che il 25% del consumo annuo provenga da riciclaggio interno e che non più del 65% può provenire da un unico paese estero. Il Critical Raw Materials Act è stato approvato a marzo di quest’anno, proprio per garantire l’indipendenza europea. Si stima che la domanda di materie prime critiche aumenterà esponenzialmente da qui al 2050: per l’alluminio da 20mila tonnellate l’anno nel 2020 si passerà a 200mila tonnellate, per il rame da un punto di partenza di poco inferiore si arriverà a 130mila tonnellate circa, in proporzioni diverse ma ugualmente significative accadrà la stessa cosa per manganese, nichel e silicio. I settori di impiego di queste materie spaziano da quello delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) e al settore aerospaziale e della difesa.

A FARE LA DIFFERENZA SARÀ LA CAPACITÀ di ciascun Paese di ricorrere ampiamente al riciclo, oltre che al riuso. Per fare ciò occorre una raccolta dei Raee, ovvero dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, capillare. Rientrano nell’acronimo tutti quei dispositivi da collegare all’elettricità o supportati da pile e batterie che non si usano più e di cui ci si vuole disfare. La definizione la si ritrova nel decreto legislativo n.49 del 2014. Tutte queste apparecchiature, denominate Aee, sono contraddistinte sulle confezioni dal simbolo del cassonetto barrato. Una volta divenuti rifiuti sono suddivise in due categorie: domestiche e professionali, entrambe ripartite a loro volta in cinque sottogruppi. “Il tasso di raccolta e riciclo dei rifiuti elettronici a livello globale non riesce a tenere il passo con la crescita dei rifiuti stessi. L’aumento della produzione di rifiuti elettronici è quindi superiore all’aumento del riciclo formale di quasi 5 volte”, si legge nel rapporto Global E-waste Monitor 2024.

NEL 2010, IL MONDO HA GENERATO 34 miliardi di kg di rifiuti elettronici. Da allora ogni anno questa quantità è aumentata di una media di 2,3 miliardi di kg. Fino a raggiungere nel 2022 quota 62 miliardi di kg di Raee a livello mondiale, ovvero 7,8 kg pro capite, di cui solo il 22,3% è stato correttamente raccolto e riciclato in modo ecocompatibile. Il tasso di raccolta e di riciclo formale è aumentato, attestandosi a 13,8 miliardi di kg nel 2022, ma non è sufficiente. La produzione di rifiuti è di gran lunga superiore ai quantitativi recuperati. I dati rivelano che 14 miliardi di kg di rifiuti elettronici sono stati smaltiti direttamente in discarica. L’Europa per il 2022, questi gli ultimi dati disponibili a livello globale, si è posizionata al primo posto per la raccolta pro capite, con una percentuale però ancora inferiore alla metà dei rifiuti prodotti da ciascun abitante, ovvero il 42,8%. Segue l’Oceania con il 41,4%, il continente americano con il 30% e poi Asia 11,8% e Africa 0,7%. Tra il 2019 e il 2023 il numero dei Paesi che hanno incrementato la normativa sul trattamento dei Raee è cresciuto, fissandosi a quota 81. L’impatto della gestione globale dei Raee pende ancora sui costi piuttosto che sui benefici, con una disparità di 37 miliardi di dollari. Si attesta a 23 miliardi la monetizzazione delle emissioni di gas serra evitate e 28 miliardi il valore dei metalli recuperati ed immessi nell’economia circolare. A fronte però di 51 miliardi di benefici, i costi ammontano a 88 miliardi di dollari, di cui 10 relativi al costo del trattamento dei Raee. La produzione di Raee è in crescita: un dato di proiezione è quello sui rifiuti generati dai pannelli fotovoltaici che in 8 anni, dal 2022 al 2030, si stima cresceranno di 4 volte. I Raee complessivamente nel 2030 si stima arriveranno a 82 miliardi di kg. L’illegalità oggi fa ancora da padrona, infatti il report rivela che 800miliardi di kg di Raee viene esportato illecitamente verso paesi con redditi bassi.

IL CASO ITALIANO NON È DISSIMILE dal trend mondiale. A raccogliere ed analizzare i dati ufficiali relativi a tutta la filiera dei Raee in Italia, è il Centro di coordinamento Raee, un ente privato partecipato da 14 consorzi di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche provenienti dai nuclei domestici e professionali. A supervisionarlo sono il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e il ministero delle Imprese e del Made in Italy. La direttiva europea 2012/19 e la successiva modifica di quest’anno 2024/884 fissano i target di raccolta dei Raee e il loro adeguato trattamento, ovvero il tasso minimo di raccolta per ciascuno degli Stati membri pari dal 2020 o al 65% del peso medio delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato negli ultimi tre anni o all’85% del peso dei Raee prodotti sul territorio.

I DATI UFFICIALI SULLA RACCOLTA DEI RIFIUTI elettronici in Italia, relativi al 2023, fissano la raccolta nazionale complessiva a 349.345 tonnellate, ovvero 5,92 kg per abitante, con un trend in calo rispetto all’anno precedente del 3,1%. All’appello mancano circa 35 punti percentuali per raggiungere gli obiettivi europei, tanto che a Bruxelles è stata aperta a luglio di quest’anno una procedura di infrazione nei confronti di vari Paesi, incluso il nostro. Certamente più consapevolezza su come fare la raccolta differenziata aiuterebbe. Tuttavia non è solo questo il problema. Manca un’obbligatorietà per il corretto smaltimento. Mancano centri di raccolta in molti comuni e mancano i controlli, perché spesso si predilige dare ai Raee etichette diverse per poter ricavare illegalmente i materiali ferrosi. Una buona notizia arriva dagli impianti: recuperare le materie prime critiche è possibile grazie a tecnologie avanzate, presenti anche in Italia, con percentuali elevate che sfiorano il 95%.

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