Rifiuti della modernità
Cisgiordania Nelle comunità palestinesi a sud di Hebron, i roghi tossici di materiali tecnologici sono diventati l'unica fonte di reddito. Ma si paga in vite umane: tra bambini e adulti il tasso di tumori è altissimo
Cisgiordania Nelle comunità palestinesi a sud di Hebron, i roghi tossici di materiali tecnologici sono diventati l'unica fonte di reddito. Ma si paga in vite umane: tra bambini e adulti il tasso di tumori è altissimo
Non si lamenta Bassma Sweti, 51 anni e madre di sei figli. Lavora a Beit Awwa, a sud di Hebron, e nei villaggi circostanti. Ha un’attività che da queste parti, dove i matrimoni sono frequenti soprattutto in primavera, è abbastanza redditizia. Filma le donne alle feste di nozze. Nelle comunità palestinesi più tradizionali uomini e donne ai matrimoni si accomodano in sale separate e sono molto richieste le fotografe che si occupano solo delle invitate. «Ho raggiunto la tranquillità economica» ci dice Bassma rispondendo alle nostre domande sulla situazione a Beit Awwa e nei vicini villaggi di Idhna e Beit Samet finiti sulle pagine dei giornali palestinesi e israeliani per un significativo aumento dei tumori tra i bambini e gli adulti. «Nella nostra famiglia allargata abbiamo perduto parenti che si sono ammalati di cancro» conferma Bassma «a novembre sono morti Mohammed, Fairouz e Khaled di 40, 38 e 22 anni e poco dopo una bambina, Julia, di 7 anni. Non sono state le uniche vittime di tumori di recente. Qui ogni famiglia ha avuto lutti».
Stando a una ricerca universitaria, le malattie oncologiche tra i più piccoli a Beit Awwa e nel resto del distretto a sud di Hebron sono quattro volte più frequenti rispetto al resto della Cisgiordania palestinese. Le autorità nella zona ne conoscono la causa: i roghi di rifiuti elettronici ed elettrici. Ma pochi hanno un buon lavoro come Bassma Sweiti e così dozzine di abitanti per sopravvivere danno fuoco a vecchi computer, telefoni cellulari, tablet, cavi ma anche lavatrici e frigoriferi allo scopo di estrarre rame e altri metalli da vendere al mercato nero. Tonnellate di rifiuti che arrivano in gran parte da Israele e da altre zone della Cisgiordania. Per le aziende incaricate di smaltirli in sicurezza in Israele, è più conveniente trasferirli in Cisgiordania sulla base di accordi presi con «imprenditori» palestinesi del settore. Questi ultimi, in cambio di compensi neanche tanto generosi, garantiscono «l’eliminazione» dell’e-waste. Negli ultimi due decenni, è diventata un’attività in forte espansione in questa regione palestinese dove non c’è lavoro e l’occupazione militare israeliana ostacola lo sviluppo economico. «Non ho mai trovato un buon lavoro qui o a Hebron e non ho un permesso per andare a cercarlo in Israele» ci dice un altro abitante, Hani, 27 anni, «bruciare i rifiuti è l’unico modo per me e per tanti altri di portare a casa un po’ di soldi. Fa male alla salute, lo sappiamo, però non abbiamo alternative».
Un tempo Beit Awwa era noto a tutti i palestinesi per la vendita dell’usato. Dalle lavatrici ai televisori, dai computer ai telefoni di vecchia generazione. Nel fine settimana arrivavano decine di famiglie da ogni parte della Cisgiordania, anche da Israele, alla ricerca di un elettrodomestico ancora funzionante e da comprare a prezzi stracciati. Poi, quando i governi israeliani hanno completato il Muro di separazione in Cisgiordania, quel movimento si è fermato. Oggi le colonne di fumo tossico e nero che si alzano dai roghi accesi a ridosso del villaggio sono la prova che, nonostante i rischi per la salute e i tanti morti per cancro, bruciare i rifiuti elettronici e recuperare metalli nobili da rivendere al mercato nero è una attività che genera reddito. Conducenti di autocarri con targa israeliana, con ampia libertà di movimento, trasportano i rifiuti elettronici a Beit Awwa e in altri villaggi dove, dopo averli bruciati per eliminare la plastica, uomini, donne e adolescenti estraggono i metalli dai cavi e dalle apparecchiature. Quelli più bravi arrivano a guadagnare, secondo fonti locali, tra 10.000 e oltre 50.000 shekel (da 3.000 a 15.000 dollari). Somme significative in Cisgiordania dove il 16% dei palestinesi stipendiati dall’Autorità Nazionale guadagna meno del salario minimo di 1.500 shekel (400 dollari) al mese e il tasso di disoccupazione reale tra i giovani è vicino al 50%. Il comune di Beit Awwa ha lanciato più di una campagna per mettere fine ai roghi tossici ed allertare la popolazione sui pericoli che rappresentano per la salute. Allo stesso tempo le autorità spesso scelgono di non intervenire e di non punire i trasgressori per non gettare sul lastrico tante famiglie che non hanno altri redditi.
Il prezzo di tutto questo è pagato in vite umane. Uno dei contaminanti più pericolosi rilasciati durante la combustione dell’e-waste è il piombo che può causare danni irreversibili specialmente nei bambini più piccoli che, anche perché giocano all’aperto, hanno maggiori probabilità di assorbire dosi elevate di sostanze tossiche rispetto agli adulti. Fino a qualche anno fa, erano oltre 200 i siti di combustione illegali che disperdono metalli pericolosi anche a grande distanza. Uno studio ha registrato che tra bambini e ragazzi di età inferiore ai 15 anni che vivono intorno Dura, nel governatorato di Hebron, si registrano tassi di linfoma da due a quattro volte superiori a quelli riscontrati nel resto della Cisgiordania o in Israele. I dati raccolti da un gruppo di studenti universitari indicano che a Deir Samet più della metà di un campione di 22 bambini aveva nel sangue livelli di piombo molto elevati. L’allarme, temono alcuni, è stato lanciato troppo tardi. Se i roghi cessassero oggi, gli effetti letali della dispersione delle sostanze tossiche a Beit Awwa e altri villaggi si sentiranno ancora per anni.
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