Ricordando Paolo
Il 20 luglio a Forlì, Paolo Finzi anarchico storico, fondatore e direttore di A-rivista anarchica, si è tolto la vita. Un addio volontario, pensato probabilmente a lungo, attuato lontano da […]
Il 20 luglio a Forlì, Paolo Finzi anarchico storico, fondatore e direttore di A-rivista anarchica, si è tolto la vita. Un addio volontario, pensato probabilmente a lungo, attuato lontano da […]
Il 20 luglio a Forlì, Paolo Finzi anarchico storico, fondatore e direttore di A-rivista anarchica, si è tolto la vita. Un addio volontario, pensato probabilmente a lungo, attuato lontano da Milano dove viveva. Lascia tante persone, famigliari, compagni e amici nello sconcerto e nel dolore. Oso poche parole quindi per dire di una persona autentica, coltissima, critica, capace di schierarsi senza paraocchi e soprattutto uomo di grande umanità e sensibilità.
Il suo impegno lo ha portato un po’ ovunque, dalla lotta politica, al sociale, fino alla musica, con la sua passione per De André a cui tante pubblicazioni ha dedicato.
Interessato fin da giovanissimo agli ultimi, negli anni ha mantenuto la propria coerenza, basti ricordare il lavoro da lui svolto con la moglie Aurora Failla tra i Rom, fino a produrre un cofanetto con doppio DVD e libro dal titolo emblematico A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli zingari, per restituire una memoria dell’olocausto quasi sempre ignorata.
Ancor prima fu partecipe e testimone delle tante, infinite, battaglie per la giustizia (Piazza Fontana in primis) e per l’ecologia e il femminismo, a cui prestò da subito grande attenzione.
Era vicino a chi soffriva, cercava sempre una chiave in più per comprendere, dove altri si fermavano lui tornava a interrogarsi e a interrogare. Lo ricordo come editore e interlocutore attento, riservato sulle proprie sofferenze e che ora ci lascia con la domanda se avremmo potuto fare qualcosa.
Negli anni ’90 mandai ad A rivista il mio primo scritto. Se non sbaglio fu una rilettura di Ritratto in piedi di Gianna Manzini, in cui la scrittrice pistoiese rievocava il padre Giuseppe Manzini, anarchico morto al confino a Cutigliano, nell’Appennino pistoiese appunto. Mi rispose subito con entusiasmo, sollecitandomi ad altre collaborazioni e mi colpì molto, già allora senza conoscerlo, il modo in cui trasmetteva partecipazione a quanto leggeva.
Incontrarlo e incontrare la sua famiglia è uno dei ricordi per me più cari. Come tanti/e altre/i ho perso un amico, qualcuno che col suo ascolto dava fiducia e comprensione.
È tanto, è tutto, ma insieme bisogna dire che grazie a lui e alla rivista “A”, tante persone si sono incontrate, si sono tessuti rapporti che durano tutt’ora nel tempo e ci hanno arricchito, ci hanno portato pensiero e la forza di stare a testa alta, nonostante tutto.
La morte volontaria di Paolo, quel suo camminare incontro a un treno, se ci feriscono, se ci fanno sentire tanto vuoto, è perché abbiamo perso, con lui, la sua forza e integrità.
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