Cultura

Riconoscimento, amore e perdita di sé dinanzi alla malattia

Riconoscimento, amore e perdita di sé dinanzi alla malattiaNella foto Marco Annicchiarico

NARRAZIONI «I cura cari», un memoir di Marco Annicchiarico in cui racconta la relazione con la madre affetta da Alzheimer

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 3 novembre 2022

I cura cari è il titolo del libro autobiografico di Marco Annicchiarico, edito da Einaudi (pp. 248, euro 17). Si tratta di un’espressione coniata da Flavio Pagano e che Annicchiarico dichiara di aver preso in prestito per questo racconto in cui condivide con lettrici e lettori la sua storia, da quando ha dovuto abbandonare la sua vita per trasferirsi dai genitori e occuparsi della madre Lucia, malata di Alzheimer.
Annicchiarico avevo già condiviso la sua esperienza sul blog «Poetarum Silva» in una rubrica intitolata «Caregiver whisper. Storie di ordinario Alzheimer». Lo aveva fatto, come lui stesso scrive, quasi costretto da Gianni Montieri e si era reso conto che nonostante pensasse che nessuno sarebbe stato interessato a leggere le vicende della tragedia che gli accadeva, molte persone avevano invece bisogno esattamente di questo: riconoscersi.

IL TEMA del mancato riconoscimento attraversa l’intero libro ed è relativo a questioni diverse e gravissime. Lucia, affetta da una forma di demenza che peggiora costantemente e che nel giro di poco tempo, da quando le viene diagnosticata, le impedisce di riconoscere la sua stessa vita, non sa che la persona che si occupa di lei è Marco, suo figlio. Nel corso del testo questo dolore che Annicchiarico sa raccontare nelle sue trasformazioni e nei suoi sprofondi, acquisisce aspetti di accettazione, ma mai del tutto. Chi legge è invitato a comprendere fin dall’inizio che non essere riconosciuti dalla propria madre è una sofferenza che non troverà mai consolazione: «parla di me come se fossi un’altra persona mentre io continuo a guardarla come se fosse ancora mia madre».
Lucia lo crede suo fratello, ma anche un lontano parente, lo considera uno sconosciuto, un vecchietto, un panzone, uno che è molto gentile e molto educato, una femminuccia con la barba, ma mai, o quasi mai, vede in lui il bambino che invoca sempre, Marco, suo unico figlio. Non riconosce neanche suo marito Sebastiano, che prima della diagnosi di demenza della moglie, si è ammalato di tumore. Per assisterlo Annicchiarico era tornato temporaneamente a Milano, dove è nato e dove i suoi genitori campani si erano trasferiti da giovani per trovare lavoro. Sebastiano morirà dopo essersi disperato perché Lucia non lo riconosce e si rivolge a lui scambiandolo per sua madre o un’amante di suo marito.

IL MANCATO riconoscimento che Annicchiarico denuncia con un’attenzione e una precisione memorabili è anche politico ed è perpetrato nei confronti dei «cura cari», di coloro che si trovano a dover affrontare ciò che definisce: «un lutto che lutto ancora non è». Racconta con ammirevole equilibrio dell’incapacità di molti medici e dottoresse non solo di cercare di comprendere l’inferno che la vita diventa quando tua madre parla con le sedie, le bottiglie e al calar della sera viene vinta da un’irrequietezza insondabile. Denuncia come: «in tutte le storie di cui vengo a conoscenza le istituzioni sono sempre assenti. E le rare volte in cui intervengono fanno promesse che non portano da nessuna parte». Riporta, dati alla mano, che il 70% dei familiari di un malato di Alzheimer è costretto a lasciare il lavoro per occuparsene.

Tutto questo viene raccontato all’interno della storia di una relazione, quella tra Marco, sua madre e l’Alzheimer: «tu lo sai che cos’è una vita senza l’amore? La vita senza l’amore non è più niente» dichiara Lucia a Marco, in una delle sue uscite geniali, che puntellano il testo e fanno sorridere e disperare. «Forse è questo che sto facendo. Ora che ha perso quasi tutti i suoi ricordi, almeno un po’ d’amore glielo faccio trovare sempre a portata di mano, in modo che non possa pensare che la sua vita è diventata niente».
Non ci si può illudere di avere tutti la fortuna sfacciata di Lucia che nella tragedia della malattia ha avuto suo figlio accanto, che ha disimparato la logica del linguaggio per continuare a parlarle ancora e ha cercato per anni di riportarla in quella casa in cui lei costantemente voleva tornare, senza trovarla mai. Era la casa del suo sé, smarrito per sempre a causa della malattia? Annicchiarico non lo sa, ma sa raccontare con sapienza ed equilibrio una storia necessaria di dolore, dialetto e magnanimità.

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