Nel 2009, giovani sposi, i palestinesi Taghrid Masalha e Amr Ayad, si immaginavano con un paio di figli, tranquilli e uniti per sempre. Le cose non sono andate come speravano e non per problemi sorti nella coppia. «Amr è della Cisgiordania, per un periodo ha lavorato in Israele ed è così che ci siamo conosciuti – racconta Taghrid, una maestra d’asilo della bassa Galilea -, una volta sposati pensavamo di abitare qui nel mio villaggio, eravamo sicuri che la legge (che vieta le riunificazioni familiari tra israeliani e palestinesi dei Territori occupati, ndr) sarebbe stata revocata e che Amr avrebbe ottenuto la cittadinanza israeliana. Ma non è cambiato nulla e sono stata io a dovermi trasferire in Cisgiordania per vivere con mio marito». Dal 2011 Taghrid abita in un villaggio tra Gerusalemme e Ramallah.

Il caso di questa coppia è molto frequente. Donne arabo israeliane – palestinesi con cittadinanza israeliana – che vanno ad abitare in Cisgiordania a causa di una legge del 2003, approvata per «motivi di sicurezza», che impedisce ai mariti di ottenere non solo il passaporto ma anche la residenza nello Stato ebraico. Migliaia sono nella condizione di Taghrid e Amr. Per loro non ci saranno miglioramenti sebbene in queste ultime due settimane, per la prima volta in 18 anni, questa legge sia stata vicina all’abrogazione. Concepita dallo scomparso premier israeliano Ariel Sharon «per impedire che i terroristi possano usare residenza e cittadinanza per compiere attentati», la legge deve essere rinnovata di anno in anno. Cosa accaduta puntualmente. Nei giorni scorsi però i partiti di destra che fanno riferimento all’ex premier Netanyahu, all’unico scopo di mettere in difficoltà il governo di Naftali Bennett, hanno comunicato che non avrebbero votato a favore. Lo scopo palese è quello di beneficiare delle esitazioni del partito islamista Raam, parte essenziale con i suoi 4 seggi della maggioranza, che chiede di abrogare la legge e di mettere fine alle discriminazioni.

Nelle ultime ore però sarebbe emerso un compromesso che dovrebbe permette di rinnovare la legge e di continuare ad impedire ai palestinesi in Cisgiordania e Gaza che sposano israeliani di ottenere la cittadinanza e la residenza. Raam, rivelava venerdì sera la tv Canale 12, cedendo alle pressioni degli altri partiti della coalizione si prepara ad accettare una soluzione minima: otterranno il ricongiungimento familiare quei palestinesi che hanno sposato israeliani prima del 2003. Ma riceveranno solo la residenza. Raam si asterrà al momento del voto sul rinnovo di quella che ha denunciato come una legge «razzista e antidemocratica», così come si è astenuto a metà settimana in seno all’esecutivo riguardo l’approvazione di progetti di espansione edilizia nelle colonie israeliane in Cisgiordania. Il passo del partito islamista comunque non mette del tutto al riparo il neonato governo Bennett. La maggioranza, perciò, si augura che alcuni deputati dei partiti di destra all’opposizione scelgano di prolungare la legge. «Sono fiduciosa che l’opposizione che si definisce nazionalista sosterrà questa legge», auspica la parlamentare Idit Silman (Yamina), certa che arriverà il rinnovo entro la scadenza del 6 luglio.

Nel 2012 la Corte suprema israeliana respinse gli appelli presentato da organizzazioni per i diritti umani contro una legge approvata «in via provvisoria» con la motivazione di voler «combattere il terrorismo» e che resta in vigore dopo 18 anni. Se le coppie miste israelo-palestinesi vogliono vivere in piena armonia «che si trasferiscano nei Territori o altrove» commentò l’allora speaker della Knesset Reuven Rivlin (Likud). Nel frattempo, le autorità militari non hanno mai dimostrato che gli sposi «importati» da Cisgiordania e Gaza siano un pericolo per la sicurezza dello Stato.