«Siamo a corto di aggettivi per descrivere la situazione di Gaza. Vogliamo dire apocalittica? Lo è ma così negheremmo la speranza». Richard Brennan, direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità, inizia così il suo intervento di fronte alla carovana solidale organizzata da Aoi e diretta verso il valico di Rafah. Traccia una panoramica con gli occhi di chi fa questo mestiere da oltre tre decenni.

L’esperienza aiuta ma la realtà lascia comunque senza parole: «Non avevo mai visto niente di simile». Della situazione sanitaria della Striscia abbiamo discusso con Brennan a margine dell’incontro.

Richard Brennan
Richard Brennan, foto Onu

Di recente sono uscite stime drammatiche: se l’offensiva finisse oggi, il sistema sanitario di Gaza ormai in pezzi non riuscirebbe a evitare migliaia di morti. Di che numeri parliamo?

Siamo oltre la catastrofe. Di 30mila uccisi il 65% sono donne e bambini. Non è quello che ci aspetta da un conflitto combattuto tra due parti militari: normalmente la maggioranza delle vittime sono uomini. Ed è stato vero nelle offensive precedenti contro Gaza, nel 2008, nel 2014, il 60% degli uccisi erano uomini. A questo si aggiungono oltre 70mila feriti di guerra difficili da gestire. Proiezioni della Johns Hopkins University e della London School of Hygiene and Tropical Medicine parlano di 85mila morti possibili nei prossimi sei mesi. Per traumi non curati, malattie e trattamenti per condizioni croniche non ricevuti.

Stime dovute al collasso del sistema sanitario…

C’erano 36 ospedali a Gaza, oggi solo 12 parzialmente funzionanti. Ho fatto visita all’ospedale al-Najah: ha 65 posti letti, oggi ospita 300 malati. Non credo di aver

Si registrano già epidemie.

L’80% della popolazione è stata spinta verso aree sempre più piccole e sovraffollate. A Rafah c’è un bagno ogni 400-600 persone, la defecazione all’aperto è diffusa. Per questo sono in corso epidemie di diarrea ed epatite. Ne temiamo altre. Prima della guerra il tasso di vaccinazioni a Gaza era molto alto, ora è saltato tutto. Una possibile epidemia di morbillo tra i bambini malnutriti potrebbe essere altamente mortale. Stiamo lavorando con l’Unicef per portare avanti le vaccinazioni ma siamo lontani dal livello necessario.

I bambini malnutriti rischiano conseguenze croniche?

A nord il 15,5% dei bambini sotto i due anni è gravemente malnutrito. Prima del conflitto, il tasso era sotto l’1% tra i bambini sotto i cinque anni. I bambini malnutriti hanno più probabilità di contrarre infezioni, diarrea, morbillo, polmonite. C’è anche il rischio di condizioni a lungo termine nello sviluppo cognitivo.

Che ruolo riveste l’ingresso ridotto di aiuti?

Le agenzie Onu fanno quello che possono ma le autorità israeliane pongono molti limiti: prima del conflitto entravano 500 camion di aiuti al giorno, ora un centinaio ma a fronte di una crisi umanitaria gravissima. I bisogni crescono e la nostra capacità di soddisfarli diminuisce. Come Oms stiamo facendo il massimo con i nostri partner per rifornire gli ospedali, controllare la diffusione di malattie, trattare la malnutrizione acuta. Ma è l’ambiente più difficile in cui operare. Gli aiuti di per sé non sono la risposta a tutti i problemi. C’è bisogno del cessate il fuoco. Niente di tutto ciò diminuirà la sofferenza del popolo israeliano. Quello che è avvenuto il 7 ottobre è un’atrocità. Quello che avviene a Gaza è oltre la catastrofe.

Che tipo di limiti subite?

Non ci sono abbastanza valichi e quelli che funzionano non lavorano al massimo del potenziale. Una volta dentro, ci sono enormi problemi logistici a causa di strade e infrastrutture danneggiate. Infine, l’insicurezza dovuta alle attività militari. Più di recente, assistiamo all’attività di gang criminali ma soprattutto all’assoluta disperazione della popolazione che saccheggia gli aiuti. Accade in ogni guerra. Gruppi criminali approfittano del caos e della disperazione di persone che vogliono solo sostenere le proprie famiglie.