I combattimenti di queste ore preparano il campo della massiccia controffensiva. La visita a Roma del comandante in capo Volodymyr Zelensky è parte di un lungo tour interamente volto a rinsaldare il supporto alleato, compattandolo nella fase decisiva.
Non si tratta di una missione per parlare di pace, come hanno titolato alcuni media italiani, ma di una missione di guerra, nella quale si è riaffacciata con enfasi la retorica della vittoria.

Incontrando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni il leader ucraino ha incassato l’appoggio all’ingresso nella Nato e stretto i rapporti con quella parte del governo italiano che, spesso convertendosi last-minute, ha tenuto la linea di deciso sostegno impostata da Mario Draghi.

Per ragioni di sicurezza ormai spesso vediamo Zelensky parlare su uno sfondo bianco e spostarsi con un corteo di macchine uguali, anche se il messaggio resta invariato: servono urgentemente armi a gittata più lunga ed occorre rafforzare la capacità di manovra. A sottolineare lo stretto nesso che esiste, sul fronte atlantico, con le opinioni pubbliche, Zelensky ha significativamente dichiarato che l’Ucraina porterà a termine la liberazione prima delle elezioni statunitensi del prossimo anno.

Un’immagine di efficienza, dunque, a rassicurare sui rischi di escalation e protrazione della guerra e dei suoi costi per tutti. E così arrivano sia i missili Storm Shadow da Londra, sia un nuovo pacchetto di carri armati Leopard e Gepard da Berlino, dove domani è atteso il presidente ucraino.

Sul piano diplomatico, mentre la Cina dispiega il proprio inviato a Mosca e Kyiv, c’è da registrare per la prima volta il cauto ottimismo del Segretario di Stato USA Blinken circa il ruolo che Pechino potrà avere nel portare la Russia a sedere a un tavolo negoziale, verosimilmente a Parigi.

Dopo quasi un anno di lentissimi e sanguinosi avanzamenti, l’arretramento di Mosca verso posizioni difensive anche sul fronte di Bakhmut è avvenuto in modo precipitoso, con tanto di voci di miliziani Wagner che sparano sui soldati russi in fuga. Gli ucraini hanno ristabilito una via di rifornimento, e questa circostanza segna probabilmente un punto di culmine per l’iniziativa militare russa: affrontando costi umani molto alti gli ucraini hanno assorbito le molteplici offensive russe, disarticolandole.

Le incognite principali delle prossime settimane riguardano la capacità di sfondamento delle linee pesantemente fortificate dalle forze di occupazione. Nel frattempo, i sistemi militari occidentali hanno mostrato la loro efficacia: il tentativo russo di affossare le difese antimissile Patriot con un missile ipersonico è stato affossato dalla risposta del sistema Patriot stesso.

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Le iniziative diplomatiche sono condizionate da questi eventi sul campo di battaglia. Nella politica internazionale Roma è anche (talvolta soprattutto) il Vaticano: quando si entra nella Santa Sede, però, si esce dai binari dell’atlantismo, per incontrare i fili di una diplomazia esplicitamente schierata sul dialogo e per la pace. Nei mesi scorsi la posizione del Papa ha attirato le pesanti critiche dei più accesi sostenitori di Kyiv, convinti che in ogni appello a far tacere le armi si celi un favore fatto all’aggressore che ormai sarebbe sempre più all’angolo.

Il Vaticano gestisce le complesse vicende del dialogo ecumenico, e non perde occasione per ricordare come il ‘martirio dell’Ucraina’ sia una guerra fra popoli fratelli, famiglie vicine per lingua e religione. Rispetto al solco di odio e crescente disumanizzazione su cui si erigerà questa frontiera europea il messaggio di fratellanza e perdono cristiano agisce su molteplici livelli. Il Vaticano dichiara di essere disponibile in ogni momento per iniziative che facciano tacere le armi.

Sappiamo di canali diplomatici vaticani che agiscono discretamente e sottotraccia, sappiamo del desiderio del Papa di portare di persona il proprio messaggio ai popoli in guerra. Di rientro dall’Ungheria, Francesco ha spiazzato tutti parlando apertamente di un’iniziativa di pace in corso.

Difficile sapere quale ruolo di preciso la Chiesa cattolica si stia ritagliando rispetto ai calcoli strategici e tattici delle Grandi Potenze o aspiranti tali. È possibile l’impegno su alcune iniziative che ri-umanizzino il conflitto, ad esempio sul ritorno alle famiglie dei bambini ucraini portati in Russia.

Di certo il messaggio del Papa è fra i pochi che si sono distinti, in questo anno orrendo, per rifiuto della logica che porta alla crescita senza fine della spesa per armamenti. L’unico lontano dalla retorica della vittoria, fra i pochi a prendere le distanze dal nazionalismo armato e dalle ossessioni identitarie come fucina della storia europea.