Respirare, oltre la crisi dei virus con un invito alla contaminazione
Scaffale Il libro di Marielle Macé per Contrasto nella collana «Tracce» (copertina fotografica di Nanna Heitmann)
Scaffale Il libro di Marielle Macé per Contrasto nella collana «Tracce» (copertina fotografica di Nanna Heitmann)
Per parlare del libro di Marielle Macé, Respirare (Contrasto, traduzione di M. Martelli, pp. 96, euro 14.90), potremmo anche iniziare dalla fine, dalla morale: cosa possiamo imparare da questo racconto? Potremmo per esempio familiarizzare con un pensiero che contraddice il senso comune, ed è questo: solo quel che non possiamo governare del tutto, quel che funziona da sé, senza il nostro controllo, ci è davvero indispensabile.
TRA QUESTE COSE c’è il respiro, che funziona bene solo quando non ti accorgi di farlo. Respirare è un saggio, nel senso più letterario del termine, pubblicato quest’anno in Francia e subito tradotto in italiano come ottavo volume della collana «Tracce» (diretta da Fofi, Koch e Piovani) che si impegna a raccogliere scritture dedicate all’ambiente, cioè capaci, per dir meglio, di rappresentare la relazione dell’umano con quel che gli sta attorno, lo accoglie e domina, sempre accompagnate da una copertina fotografica: questa è la volta di Nanna Heitmann con Così parlò Zarathustra, alcuni scatti provenienti dalla penisola di Abrau, sul Mar Nero.
Che negli ultimi anni il respiro sia stato un elemento di crisi e che anzi abbia assunto la forza di un gesto traumatico, lo sappiamo, è stata un’esperienza condivisa e spaventosa da quando il mondo fu pervaso in modo così repentino e incontrollabile da un virus che attacca la respirazione. Un’epidemia che si è aggiunta a una respirazione già intossicante, intossicata soprattutto nelle zone più densamente popolate, defraudate, ingannate, impoverite della qualità dell’aria.
LA RIFLESSIONE di Macé parte da queste evidenze, che originano dal declinare climatico e dall’esaurimento delle risorse ambientali, alle quali tuttavia aggiunge l’esperienza personale del respirar male, resa più angosciosa da tediose affezioni respiratorie. In linea con le scelte della collana, la narrazione di Macé parte da un dato autobiografico, in parte ne adotta i filtri stilistici, e in linea con la più antica tradizione saggistica ne verifica la tenuta intellettuale ed etica attraversando una fitta rete di letture, quasi investigando, anzi facendo la prova su vari linguaggi: la poesia, la medicina, l’economia, la filosofia, la sociologia, le scienze naturali.
Ne esce una vagante scia di legenda, quasi piccola enciclopedia di cose dette sul respirare, che offrono mille spunti di riflessione, echi di voci, molto intrattenimento, esempi di percorsi curiosi.
MA LA FINALITÀ di questo girovagare non è certo il catalogo né la saturazione erudita: l’intento pare piuttosto quello di adeguare la scrittura al respiro stesso. Tutto respira, sostiene Macé, e il respiro è alla radice di ogni relazione, d’ogni scambio di corpi e di materia, di individui e di genealogie, d’ogni metamorfosi singolare e della trasformazione globale. La respirazione è l’antitesi del confine, della limitazione; è contaminazione e vita. Dunque, l’idea è di scrivere imitando o replicando il respiro, che costantemente versa e risucchia nel corpo quel che viaggia libero nell’aria e subito rigetta quel che ha filtrato nell’ambiente da cui ha prelevato; un ciclo ch’è anche riciclo, un prendere che è un restituire, un sopravvivere che è far vivere.
È un gesto fondamentale che ha incredibili conseguenze, tanto materiali e spicce quanto indolenti e vaghe. Per questo il respiro, sostiene Macé, è anche un atto di potente valenza politica: libero dovrebbe esserlo, naturalmente, ma è evidente che questa naturalità è aggredita da agenti dannosi e limitanti, per cui il respirare sembra essere diventato parte, anzi oggetto prezioso delle politiche del controllo. Quest’apprensione per il respiro e il respirare non si può che condividere; e così l’auspicio di trasformare una preoccupazione in consapevolezza progettuale. E il motivo è semplice, basta capire che il respirare è un atto fragile e ingenuo; basta pensare a quanto, nel suo continuo filtrare, si esponga spontaneamente e necessariamente a ogni invisibile rischio. Per questo non siamo responsabili solo del nostro respiro ma del respiro di tutte le cose.
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