Ricorso rigettato: il Tribunale civile di Roma ci ha impiegato ben due mesi e appena 71 righe per respingere tutte le richieste mosse da Salah Abdel Ati, avvocato palestinese, ex direttore della Commissione indipendente per i diritti umani di Gaza e tra i coordinatori della Grande Marcia del Ritorno, iniziata nel maggio 2018.

ABDEL ATI aveva mosso ricorso contro il governo italiano (presidenza del consiglio e i ministeri di esteri e difesa) a inizio aprile per complicità nelle violazioni dei diritti umani da parte di Israele a Gaza. Chiedeva lo stop al rifornimento di armi, il ripristino dei fondi all’Unrwa tagliati lo scorso gennaio e l’intervento a favore del cessate il fuoco in tutti i consessi internazionali.

Il ricorso nasceva dai pericoli insiti nella possibile complicità nell’offensiva israeliana: Salah Abdel Ati, oggi esiliato in Egitto, ha perso nell’attacco israeliano la madre, un fratello, una sorella, una cognata e una nipotina di due anni. Ha perso la casa e i mezzi di sostentamento.

Il giudice Mario Tanferna, il 30 maggio, ha respinto tutte le richieste e imposto all’avvocato palestinese il pagamento delle spese processuali, 7mila euro, un’enormità per una persona che con sé non ha più nulla. «Non c’è giustizia in questa decisione, dominata da una natura politica, quasi di vendetta – ci dice Abdel Ati, raggiunto al telefono – Non solo rigetta il caso ma impone il pagamento al querelante che cerca giustizia. Faremo appello».

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Parte della sua famiglia è ancora a Gaza: «I miei familiari sono sottoposti a fame, paura, sfollamento forzato. Sono dispersi tra Nuseirat, Deir al-Balah e Khan Younis. Alcuni di loro erano a Rafah ma a causa dell’attacco israeliano sono stati sfollati di nuovo, è la settima volta. Vivono in condizioni disastrose, nelle tende con poco cibo e niente lavoro. I bambini hanno fame e paura dei continui raid in ogni pezzo di Gaza». Ogni tanto, dice, quando la rete telefonica funziona, riesce a parlare con loro. Accade di rado.

SECONDO il Tribunale di Roma, le condizioni della famiglia di Abdel Ati non giustificano la richiesta di intervento immediato: il ricorrente, si legge nell’ordinanza, «si trova in Egitto palesandosi quindi insussistente il requisito del periculum (…) essendo oltretutto già deceduti i suoi più stretti familiari».

«Il giudice sembra non sembra aver capito – ci spiega Stefano Bertone, del team legale di Abdel Ati – Nel ricorso spiegavamo che parte della sua famiglia è a Gaza e intende restarci e che Abdel Ati intende tornare in Palestina. Il governo italiano deve quindi fare in modo che non vengano lesi altri suoi diritti fondamentali e rimuovere gli ostacoli al suo ritorno».

Al di là dell’urgenza, la richiesta è stata respinta – spiegano gli avvocati italiani di Abdel Ati – perché a giudizio della corte il Tribunale non sarebbe competente: vendita di armi e fondi all’Unrwa sarebbero atti politici non sindacabili. È la stessa tesi mossa dall’Avvocatura dello Stato in difesa del governo: atti di natura politica.

Tesi che, secondo l’avvocato Bertone, è smentita dalla giurisprudenza: «Il giudice ha citato vecchie sentenze secondo cui esiste un’intangibilità dell’esecutivo in tutti i casi di decisioni politiche internazionali. Quella cosa è finita: convenzioni internazionali, leggi nazionali e sentenze, sia della Corte costituzionale che della Cassazione, hanno più volte affermato che di fronte alla violazione di diritti fondamentali l’atto politico è suscettibile di essere giudicato».

«IL GIUDICE avrebbe potuto e dovuto intervenire – continua – Il governo italiano ha valicato i limiti imposti dal diritto internazionale ammettendo di vendere ancora armi a Israele».
Per il giudice, però, non esisterebbe nesso causale tra il rifornimento di armi e il genocidio in corso, come non ce n’è tra il taglio dei fondi all’Unrwa e la carestia in corso a Gaza (taglio apparentemente rientrato: dieci giorni fa il governo ha annunciato cinque milioni di euro per l’agenzia per i rifugiati palestinesi, ma solo per i progetti in Cisgiordania, Siria, Libano e Giordania). Ora il prossimo passo è il ricorso al collegio del Tribunale di Roma: «Stessa sezione ma tre giudici – conclude Bertone – Siamo fiduciosi».