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Reparti assenti, dati gonfiati, precari: la babele delle scuole di specializzazione medica

Reparti assenti, dati gonfiati, precari: la babele delle scuole di specializzazione medicaProtesta degli specializzandi di medicina – Simona Granati

Nel 2021 il governo ha più che raddoppiato il numero di posti nelle scuole di specializzazione medica rispetto al 2019, portandoli a circa 19 mila. Ma molti nuovi medici si […]

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 maggio 2022

Nel 2021 il governo ha più che raddoppiato il numero di posti nelle scuole di specializzazione medica rispetto al 2019, portandoli a circa 19 mila. Ma molti nuovi medici si formeranno in strutture inadeguate a insegnare la professione ai nuovi medici. La denuncia è dell’Associazione Liberi Specializzandi (Als), il più importante sindacato dei medici in formazione: secondo loro, ci sarebbero decine di scuole di specializzazione fuori legge, cioè prive dei titoli richiesti per legge.

Per un aspirante medico, la frequenza di una scuola di specializzazione – retribuita, della durata di 4 o 5 anni e a cui si accede dopo un concorso – è obbligatoria. Per un policlinico universitario, ospitarne una garantisce molti vantaggi, oltre al prestigio della docenza. Gli specializzandi sono retribuiti dallo Stato ma pagano tasse di iscrizione che superano i duemila euro l’anno. Inoltre – ma è la ragione più importante – gli specializzandi tappano i buchi lasciati negli organici da anni di scarsi investimenti nella sanità pubblica. Senza di loro, molti reparti chiuderebbero per mancanza di personale.

Per avviare una scuola di specializzazione occorre rispettare alcuni requisiti relativi ai reparti presenti e al volume degli interventi. Un Osservatorio Nazionale, oggi presieduto dall’ex-rettore della Sapienza di Roma Eugenio Gaudio, è incaricato di verificarli. Ma in molti casi passano l’esame anche scuole inadeguate. Massimo Minerva, presidente dell’Als, mostra esempi come quello dell’ospedale universitario di Torino. «Per avviare una scuola di specializzazione in geriatria un ospedale (o la rete di cui fa parte, ndr) deve avere un reparto di lungodegenza o una residenza sanitaria assistenziale (Rsa) da almeno 300 ricoveri l’anno.

Eppure, è stata regolarmente riconosciuta anche la scuola di specializzazione di Torino. «Fin dal 2017 era sempre stata dichiarata la presenza di Rsa e lungodegenza sia nella sede che nella rete», spiega Minerva. «Ma la stessa struttura, tra le note dell’ultima richiesta di accreditamento, scrive: “le strutture della rete compresa la Struttura di sede non comprendono Rsa e/o lungodegenza”». Nonostante l’incongruenza, l’Osservatorio concede un accreditamento provvisorio senza richiedere un piano di adeguamento, come invece prevede la norma. Decine di nuovi geriatri continueranno a formarsi senza aver frequentato una Rsa o un reparto per lungodegenti.

Non è l’unico caso. In molte specialità è richiesta la presenza in sede di un «dipartimento di emergenza e urgenza», cioè di un Pronto soccorso. A Napoli, dichiarano di averlo le scuole di specializzazione del policlinico «Vanvitelli» e del «Federico II». Ma in quegli ospedali il Pronto soccorso non c’è. Minerva cita l’otorinolaringoiatria: «La scuola dichiara che il Pronto soccorso esiste in ambedue le strutture di sede. La dichiarazione della presenza del Dipartimento è stata sempre presente dal 2017. Ciò significa che è da almeno cinque anni che viene dichiarata falsamente la presenza di una struttura non esistente».

Per l’accreditamento è stata poi attivata una convenzione con il «Cardarelli», ospedale adiacente al Federico II. È un requisito anche per la pediatria. Peccato che al Cardarelli i bambini non arrivino perché il reparto di pediatria non c’è. Dunque, alla Federico II si diventa pediatri in un Pronto soccorso per adulti? Bisognerebbe chiederlo a Annamaria Staiano, presidente della Società italiana di pediatria. Staiano insegna alla scuola di specializzazione della Federico II e fa parte dell’Osservatorio nazionale: dunque funge sia da controllora che da controllata. Ma al manifesto non ha voluto rispondere. Così come Gaudio.

Infine ci sono i casi – numerosi – dei volumi gonfiati. Alcuni esempi: la stessa scuola di otorinolaringoiatria di Napoli dichiara 826 ricoveri ordinari e 370 in day hospital, più dei 500 e 300 necessari. Ma secondo i dati certificati dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e in mano all’Als, i ricoveri sarebbero solo 149 in regime ordinario e 115 in day hospital.

La scuola di pneumologia all’università della Magna Grecia di Catanzaro, che nel 2019 non ha avuto l’accreditamento, nel 2020 dichiara numeri diversissimi: in un anno i ricoveri passano da 111 a 512 – ma per Agenas rimangono poco più di cento – e sempre con gli stessi 4 posti letto. Meno di tre giorni a ricovero in media, sebbene il 78% dei pazienti abbia richiesto la ventilazione meccanica. Ma all’Osservatorio fanno poche domande e l’accreditamento arriva. «Visti i risultati – aggiunge Minerva – nel 2021 la scuola ha ripresentato le stesse identiche documentazioni». Possibile, nell’anno del Covid? «Numeri che vincono non si cambiano».

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