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In Uganda con Emergency, nella «scandalosa bellezza» dell’ospedale di Renzo Piano

In Uganda con Emergency, nella «scandalosa bellezza» dell’ospedale di Renzo PianoAffumicazione del pesce, Ggaba, Kampala, Uganda, 2023. Foto di Laura Salvinelli

Reportage Una eccellenza nella cura e nella prevenzione, accogliente e gratuita: nel Centro di chirurgia pediatrica a Entebbe, l’unico ospedale di medicina d’eccellenza completamente gratuito nel paese, nel solo edificio progettato – pro bono – da Renzo Piano e TAMassociati per tutta l’Africa. Un sogno che due amici, Gino Strada e l’archistar, hanno fatto diventare realtà

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 20 gennaio 2024
Laura SalvinelliENTEBBE, UGANDA

«Questo progetto è un’evoluzione di EMERGENCY che è nata per la chirurgia di guerra: una ribellione sociale ancora più alta, che porta qui il massimo dell’eccellenza perché la sanità non deve essere per forza a pagamento, non deve essere scadente, e può essere anche bella», dice Giacomo Menaldo, Country Director dell’Ong in Uganda. Siamo nel Centro di chirurgia pediatrica a Entebbe, nell’unico ospedale di medicina d’eccellenza completamente gratuito in Uganda, nel solo edificio progettato – pro bono – da Renzo Piano e TAMassociati per tutta l’Africa. Un sogno che due amici, il dottor Gino Strada che credeva che la medicina d’eccellenza fosse un diritto di tutti, e l’archistar che vede nel bello, che è anche buono, la massima aspirazione dell’uomo, hanno fatto diventare realtà. «Sembra la trama di un film di Bud Spencer e Terence Hill che prendono a schiaffi un sacco di persone», scherza Giacomo. Perché in Uganda? Perché per una popolazione di 47,7 milioni di persone, di cui la metà ha meno di 15 anni, c’erano 4 chirurghi pediatri. E perché l’Uganda è uno dei 15 Paesi africani del progetto Anme (African Network of Medical Excellence – Rete sanitaria d’eccellenza in Africa) per la costruzione di ospedali d’eccellenza, punti di riferimento per tutto il continente, grazie al Programma Regionale. Questo di Entebbe è il secondo del progetto dopo il Centro di cardiochirurgia Salam di Khartoum, che dall’apertura nel 2007 ha eseguito più di 10.000 interventi a cuore aperto a pazienti provenienti da 32 nazioni, di cui 28 africane.

Shakila, 37 anni, nella stanza dove vive da 12 anni con 5 figli. Lava i vestiti e porta l’acqua per mantenerli. Katoogo, Kampala, Uganda, 2023 (foto di Laura Salvinelli)

Le mura dell’ospedale sono costruite con la tecnica tradizionale del pisé, che usa la terra cruda, un’argilla rossa, per evitare la dispersione del caldo e del freddo. Un impianto di 2.500 pannelli fotovoltaici produce il 30% del suo fabbisogno elettrico. Il giardino di prati all’inglese e tanti alberi di jacaranda si affaccia sul lago Vittoria ed è popolato da molte specie di uccelli, fra cui la nobile gru coronata grigia, l’uccello nazionale che è sulla bandiera e lo stemma dell’Uganda, e da plebee, acrobatiche scimmie Vervet. Il bello è buono perché è sostenibile, e fa parte della cura. Il Centro dà lavoro a uno staff di più di 400 persone, di cui il 90% locali. Dalla sua apertura ad aprile 2021 ha effettuato più di 3.600 interventi e di 25.000 fra visite, analisi, medicazioni, sedute di fisioterapia a bambini da un mese a 18 anni. Inoltre, come tutti gli ospedali di EMERGENCY, è un polo formativo di professioni mediche e sanitarie estremamente necessarie. Poiché qui nella stregoneria, nel juju, ci credono più o meno tutti, dai villaggi al Parlamento, immagino che i bambini vedano l’edificio come un’astronave atterrata nel paradiso terreste, e il suo staff come alieni dotati di poteri magici.

«L’idea di Strada era semplice e basata su fatti», spiega Giacomo. In Africa si spendono circa 4 miliardi di dollari annui per mandare all’estero – in India, Pakistan, Regno Unito – poche persone per cure specializzate, creando un turismo sanitario, una mafia per le agenzie di viaggio, e non investendo in patria. Lo scopo del progetto ANME è di usare quei soldi per realizzare una rete di ospedali d’eccellenza in Africa e dimostrare che sono sostenibili. È un’iniziativa partita dalla nostra Ong che sta avendo un buon supporto da parte dei Paesi africani. I principi del progetto sono altrettanto semplici: l’eguaglianza (tutti hanno diritto alla cura), la qualità (il doppio standard è una forma di discriminazione che non deve esistere), e la responsabilità sociale (per la sostenibilità è necessario che il governo che ospita e i governi che beneficiano sposino la causa). Qui in Uganda c’è un’ottima collaborazione, la ministra della salute Jane Ruth Aceng è una pediatra e capisce nel dettaglio quello che facciamo». Concetti semplici ma per niente facili. Come semplice è quello per cui investire in qualità in Africa aiuta a contenere l’aumento delle migrazioni. Il governo ugandese ha messo a disposizione gratuitamente il terreno su cui sorge l’ospedale, ha contribuito col 20% delle spese di costruzione della struttura, e si è impegnato a coprire ogni anno il 20% delle sue spese di gestione.

Centro di chirurgia pediatrica di EMERGENCY. Sale operatorie, sala risvegli. Huzairu Magezi, 5 anni e 10 mesi, in attesa del risveglio dopo un intervento di calibrazione uretrale per stenosi uretrale e ipospadia. Entebbe, Uganda, 2023 (foto di Laura Salvinelli)

«Il Centro Salam di cardiochirurgia ha dimostrato che la medicina d’eccellenza gratuita è possibile – abbiamo cominciato con la cardiochirurgia che è il top perché quella che necessita del maggior numero di figure professionali per il successo delle operazioni – e sostenibile, con i suoi 16 anni di attività. Il Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe dimostra che è replicabile. Col Programma Regionale offriamo ai Paesi della rete i servizi per i loro pazienti e il training per il loro personale sanitario», aggiunge Luca Rolla, «un tempo un bravo infermiere in terapia intensiva cardiochirurgica, da anni in posizioni di coordinamento», ora direttore del Programma. Le guerre non bloccano la collaborazione fra i Paesi della rete? «Negli anni passati il Sudan è stato spesso belligerante ma non ha mai vietato un visto gratuito per i pazienti e i loro accompagnatori, dovunque provenissero. Questo è un esempio di civiltà assoluta, basti pensare quanto è difficile se non impossibile per un paziente africano venire in Italia per farsi curare. Stesso discorso vale qui. Sono buoni messaggi che l’Africa sta dando e che noi dobbiamo imparare».

Chi sono i beneficiari dell’ospedale di Entebbe, forse l’unico al mondo dedicato alla chirurgia pediatrica? «In Italia ci sono famiglie che possono permettersi di essere vegane, cane incluso, qui ci sono bambini nati malformati non trattati» dice Giacomo. Il professor Andrea Franchella, chirurgo pediatra, ex direttore del Dipartimento Materno Infantile dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, primario del Centro, spiega: «Qui vediamo malformazioni che in occidente non ci sono più, grazie alla prevenzione e alla diagnosi prenatale, e vediamo quello che provocano nel tempo». «Oltre alla sofferenza della malattia, i nostri pazienti spesso sono stati abbandonati da uno o entrambi i genitori, non vanno a scuola, e sono molto segnati, come le loro famiglie» sottolinea Giulia Pedroni, capoinfermiera. L’assistente sociale Jane Namgala Majale lo conferma: «La maggior parte dei padri scompaiono quando scoprono che i loro figli sono malati, e le madri sono spesso costrette ad aspettare che muoiano in casa. In questo Paese non si ha diritto alle cure se non si hanno i soldi».

Lo stipendio medio annuo ugandese è di circa 1.100 Euro, e le operazioni che vengono offerte costerebbero da 1.500 a 4.000 Euro l’una. Ma lo stigma è causato anche dalla credenza nel juju, come spiega la psicologa Winnie Ayobo: «I bambini malati vengono stigmatizzati perché le loro patologie si attribuiscono a malefatte degli spiriti degli antenati o a fatture degli stregoni. Molti padri li abbandonano. Sono detestati dalla famiglia paterna, dai vicini, dagli altri bambini. Le madri diventano depresse, stressate, ansiose, sviluppano sensi di colpa e per di più sono schiacciate dal peso economico che si devono accollare. I bambini e i loro parenti arrivano qui traumatizzati. Noi li aiutiamo a costruire resilienza». «I bambini qui si confortano a vicenda e si sentono meno soggetti particolari trovando altri simili a loro. Mangiano bene, hanno il giardino, la scuola, i giocattoli, i vestiti, la pulizia, le visite dei parenti e la comunità degli altri bambini e dei loro accompagnatori, obbligatori sotto i 5 anni e facoltativi dai 6 ai 14. All’arrivo i familiari si sentono spiazzati, scioccati che tanta qualità di medicina e di trattamento umano e ambientale sia gratis.

Ma non c’è sradicamento dal contesto, perché lo staff è quasi tutto ugandese: sono loro che di fatto gestiscono l’ospedale, e dimostrano che un buon management è possibile», testimonia la coordinatrice medica Luisa Napolitano, responsabile di Anestesia Pediatrica del Policlinico di Milano fino ad aprile, quando si è licenziata per sposare la causa di EMERGENCY per cui già lavorava da anni.

Trevor, 23 anni, operaio della fornace di mattoni. Il berretto rosso indica l’appartenenza al movimento di pressione di resistenza People Power. Kampala, Uganda, 2023 (Foto di Laura Salvinelli)

Qui a Entebbe si curano malformazioni congenite, malattie urologiche e ginecologiche, anomalie del tratto gastro-intestinale, patologie del sistema biliare, labbro leporino, disturbi della differenziazione sessuale, ferite da ustioni gravi. Poiché, come ricorda Giulia, «la nostra vision è la cura della vita oltre che della patologia dei pazienti», l’Ong è in relazione con una trentina di organizzazioni locali che possono aiutarli nella riabilitazione sociale una volta dimessi. I bambini guariranno, o almeno vivranno un po’ meglio, e le loro famiglie non dovranno vivere nell’angoscia per i debiti.

Gino Strada così scriveva in Una persona alla volta (Feltrinelli, 2022):
«Scandalo e bellezza, due parole che insieme sono rivoluzionarie. Quell’ospedale doveva essere scandalosamente bello perché doveva essere la denuncia tangibile di una tendenza in voga nel mondo degli aiuti umanitari.

Guardando ai disperati bisogni dell’Africa, c’è chi pensa che qualsiasi cosa vada bene, che qualsiasi cosa sia «meglio che niente». Ho sempre voluto ribaltare questo concetto insensato: non ha senso portare in Africa «il meglio che niente», ma «il meglio».
Il modo migliore per praticare l’eguaglianza – e per praticarla anche in Africa – è dimostrare a chi aiutiamo che lo consideriamo uguale a noi con i fatti, concretamente. Condividere i migliori risultati che abbiamo raggiunto in tutti i campi, dall’architettura alla medicina, per dare un segnale inequivocabile: la volontà di portare loro esattamente quello che vorremmo per noi stessi. La bellezza, ad esempio».

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