Rendita, politica e affari
Il «blocco urbano» Chi spinge in alto i valori immobiliari e i canoni di locazione? Chi stabilisce le regole del gioco?
Il «blocco urbano» Chi spinge in alto i valori immobiliari e i canoni di locazione? Chi stabilisce le regole del gioco?
L’incidenza degli affitti sul reddito da lavoro dipendente, salita al 60%, fa scivolare Milano dal primo all’ottavo posto nell’annuale classifica de Il Sole 24 ore sulla qualità della vita nelle città capoluogo. Esiste una relazione diretta tra questione abitativa e rendita. Maggiore è la quota di salario o di stipendio destinata al pagamento dell’affitto e del mutuo-casa, più soldi incamera la rendita.
Il «passaggio» dal reddito alla rendita avviene in modo semplice e naturale. Come sostiene Keynes «se c’è qualcuno che vive di rendita, se c’è qualcuno che si arricchisce dormendo, c’è sempre qualcun altro che sta lavorando gratis per lui senza saperlo».
Ma chi spinge in alto i valori immobiliari e i canoni di locazione? Chi stabilisce le regole del gioco? È la legge del mercato, si dice. Non c’è dubbio, però, che le agevolazioni normative, urbanistiche e fiscali, decise nei diversi livelli istituzionali, contribuiscano non poco alla performance della rendita e alla tenuta del blocco di potere urbano (imprenditori edili, proprietari fondiari e banche). Ci riferiamo allo scarto esistente tra prezzi di mercato, alti, e valori catastali – base di calcolo delle imposte immobiliari – bassi, spesso fermi a settant’anni fa; e anche, al susseguirsi di condoni edilizi e di sanatorie urbanistiche con la coda di varianti, deroghe, cambi di destinazione d’uso e via continuando.
L’idea liberista del «pianificar facendo» ha preso il posto dei piani regolatori. Si è costruito per decenni a ritmi frenetici, coltivando in tutti i modi il mito della casa in proprietà. L’edilizia residenziale pubblica (Erp) è stata soppiantata, sostituita dal cosiddetto social housing, peraltro mai decollato per davvero. I progetti di riqualificazione e di «valorizzazione» hanno determinato massicci spostamenti di popolazione verso periferie sempre più lontane, con effetti pesanti sul traffico e sul senso di estraniazione e di isolamento dei cittadini. I massicci investimenti in strade, servizi, infrastrutture, metropolitane, hanno seguito logiche di «fertilizzazione» del territorio, funzionali all’intensificazione dell’espansione edilizia.
Le politiche pubbliche, in poche parole, hanno consegnato ai privati le chiavi dello sviluppo del territorio, «cementando» l’intesa tra mattone e finanza. L’esito è sotto i nostri occhi: accumulazione di ricchezze patrimoniali e finanziarie, da un lato, disagio abitativo, degrado delle periferie, danni ambientali e rovina del paesaggio, dall’altro. Le amministrazioni locali, sempre più in affanno, rincorrono i processi anziché programmarli.
Alla deregulation urbanistica si è accompagnata quella fiscale. Grazie a imposte irrisorie e di favore, decine di fondi di investimento immobiliari (italiani e stranieri) hanno arricchito il loro portafoglio di migliaia di edifici residenziali e di pregio, controllano interi pezzi di città, prosperano in borsa. Il mercato immobiliare domina lo sviluppo urbano, lo stravolge, droga i prezzi. Da parte delle autonomie locali manca un’azione di contrasto o di contenimento della rendita urbana. L’Anci non ha avuto nulla da eccepire nemmeno sul grande affare di ville unifamiliari, prime e seconde case, ristrutturate con il super-bonus 110, rivalutate fortemente sul mercato, e pronte magari a essere rivendute con lauti guadagni per i proprietari.
Oltre 40 miliardi di soldi pubblici spesi (o, meglio, sprecati) per l’efficientamento energetico di appena l’1 per cento del patrimonio residenziale, quello dei più ricchi. Resta incomprensibile perché i sindaci abbiano subìto l’esclusione dalla gestione di un provvedimento così importante, non abbiano rivendicato la loro competenza in materia e non abbiano indicato criteri e priorità degli interventi, spingendo ad esempio per la riqualificazione energetica dei condomini delle zone di edilizia economica e popolare.
Una beffa, tanto più che alla crescita di valore di beni privati non corrisponde alcun beneficio per le casse comunali. La sofferenza della finanza locale è, infatti, l’altra faccia di una tassazione della rendita del tutto inconsistente. La mancata riforma del Catasto grida vendetta. Per far fronte alle esigenze di bilancio, i sindaci sono costretti ad applicare l’addizionale Irpef, tassano cioè due volte i redditi di lavoratori dipendenti e pensionati. Una normativa ingiusta, non degna di un paese civile, esenta le famiglie agiate dal pagamento dell’Imu sulla prima casa e, come se non bastasse, sancisce l’intoccabilità della rendita.
Per una sinistra che voglia ripartire dal territorio, la questione dell’abitare assume dunque un particolare rilievo politico e culturale, è paradigmatica delle disuguaglianze e di una redistribuzione sociale all’incontrario. Purtroppo molti sindaci di centrosinistra, nel rapporto con la rendita e con il blocco sociale che ne è a capo, non si distinguono granché dalla destra. A proposito di questione morale, nel congresso del Pd, sarebbe utile e opportuna magari una riflessione sull’intreccio tra politica e affari a livello locale.
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