Visioni

Reimmaginando il Libano nell’amore clandestino di «Dirty, Difficult, Dangerous»

Reimmaginando il Libano nell’amore clandestino di «Dirty, Difficult, Dangerous»Una scena di «Dirty, Difficult, Dangerous»

Venezia 79 Il film di Wassim Charaf in concorso alle Giornate degli autori, al centro i nuovi «senza terra», i siriani fuggiti dal conflitto

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 1 settembre 2022

Dirty, Difficult, Dangerous, «Sporco, difficile, pericoloso», sembra riassumere sin dal titolo il paesaggio emozionale dei due protagonisti che lo abitano fatto di miseria e di costrizione, bersagliato dal disprezzo e dallo sfruttamento. Wassim Charaf, il regista, racconta il suo film – che ha aperto ieri le Giornate degli autori, la sezione indipendente della Mostra con la direzione artistica di Gaia Furrer, come «la storia di due angeli» cioè i personaggi di Mehdia e Ahmed, lei una ragazza etiope «comprata» da una ricca signora libanese come badante al marito, un colonnello in pensione ormai fuori di testa, che passa da momenti di gentilezza a improvvise crisi di aggressività – quasi un Nosferatu che porta in sé la violenza della guerra civile e i suoi gesti. Lui un profugo siriano che vende ferro in giro per la città. Siamo dunque in Libano, il paese di Charaf che ha lavorato nelle zone di guerra come reporter per Arte e realizzato numerosi cortometraggi fino all’esordio con Heaven Sent (2016), e che in questa sua opera seconda continua a rifondarne l’immaginario spostandolo dalla memoria della guerra civile, con cui spesso coincide, alla realtà di oggi. E il suo centro e punto di partenza sono i migranti senza diritti e quel cinismo sociale diffuso che si accanisce contro i nuovi «senza terra», in particolare i siriani fuggiti dal conflitto di questi anni e lì emarginati, messi sotto controllo (subiscono il coprifuoco) e privati di ogni diritto, costretti a lavorare per niente e a vivere in vecchi ruderi e in accampamenti disgraziati – quasi un riflesso speculare della situazione vissuta prima di loro e mai risolta dei profughi palestinesi che ancora dopo decenni non hanno diritti civili.

TUTTO questo però Charaf lo traduce in un film surreale, un melodramma fantastico di cuori spezzati e in gabbia nei cui sogni negati si specchia la società contemporanea disegnando la metafora di una condizione universale. Ragazza-incontra-ragazzo: Mehdia (Clara Couturet) si innamora di Ahmed (Ziad Jallad) appena sente la sua voce giù in strada che grida «ferro, ferro…». La felicità sono i loro incontri clandestini, i baci nascosti o rubati perché la ragazza non può uscire dalla casa in cui lavora – se non per finire richiusa in qualche cella dall’uomo che ne ha disposto l’arrivo in Libano e che le ha tolto il passaporto. Questione di soldi in quel business del corpo che è uno dei perni dell’economia attuale sul quale il regista «scrive» memorie e vissuti, la storia del presente e il desiderio impossibile di futuro. Vorrebbero fuggire, vorrebbero vivere il loro amore ma come uscire da quella «prigione» che è il paese, forse il mondo, in cui si trovano?
Ahmed ha il corpo pieno di ferro che spunta dalla carne in un colore bruno arrugginito, sono i segni delle bombe e delle schegge che ha patito negli anni di guerra in Siria, ma forse di qualcos’altro: la sua mutazione è qualcosa che va nel senso contrario del corpo cyborg, è quasi un grido, l’affermazione di una presenza che chiede di essere guardata con discrezione, senza proclami.

COSA conta allora in questa lotta che li unisce? Cosa resta? Loro due, il loro incontro, il legame in cui possono trovare forza e resistenza e forse anche un nuovo orizzonte altrove.
Delicato nel maneggiare i temi del nostro tempo, Dirty, Difficult, Dangerous li affronta attraverso una ricerca formale, nell’invenzione di mondi e di figure che diventano archetipi di un quotidiano tragico e crudele in cui sembra sparito ogni sentimento di compassione. È il Libano con una linea che intreccia storia e attualità, e insieme il mondo contemporaneo che percorrono nella loro «fuga» i due ragazzi, nella loro speciale leggerezza in cui Charef mette alla prova il senso del cinema, la sua invenzione e la sua necessità.

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