Regionali, la partita è aperta ma Solinas è già fuori gioco
Nessuna decisione nella riunione dei leghisti. Sul piatto le richieste del Psd’Az. Salvini spera ancora nel terzo mandato dei presidenti
Nessuna decisione nella riunione dei leghisti. Sul piatto le richieste del Psd’Az. Salvini spera ancora nel terzo mandato dei presidenti
Christian Solinas, governatore uscente della Sardegna, è fuori gioco. Lo sa lui, lo sanno gli alleati della Lega, lo sanno tutti ma formalmente la partita resta aperta. Il Federale della Lega che, da via Bellerio, avrebbe dovuto mettere fine all’estenuante tormentone, finisce col nulla di fatto. «Nessuna novità», sintetizzano laconiche la fonti leghiste. Salvini concede anche di meno. Se la fila di corsa senza mezza parola. Segnali ne sono arrivati a volontà, dal capo dei senatori Romeo che, subito prima della riunione assicura che il centrodestra resterà unito, alla presentazione del simbolo, depurato dal nome della discordia, quello del governatore uscente. Però nulla di più. C’è ancora tempo, neanche pochissimo: ieri i simboli, il 22 le liste ma solo il 25 gennaio bisognerà collegare quelle liste a un papabile presidente. Dieci giorni che saranno spesi per proseguire la trattativa in corso, quella che impedisce di chiudere la partita subito.
Tajani è stato chiarissimo: Vito Bardi in Basilicata non è in discussione. Il limite dei due mandati per i presidenti di regione non è un dogma Paolo Barelli, Fi
LE RICHIESTE del Psd’Az sono concrete: posti, assessorati, la presidenza dell’Assemblea per il leader Moro, mentre Solinas vorrebbe fregiarsi del titolo di eurodeputato. Senza l’intesa con FdI e Fi, con sondaggi che lo piazzano poco sopra il 5%, il Partito sardo d’Azione rischia di restare a becco asciuttissimo. Una via molto traversa per la verità ci sarebbe, l’alleanza con Soru, una sorta di cartello ribelle trasversale e tra i sardi c’è chi considera la faccenda seriamente ma è soprattutto un modo per garantirsi un po’ di contrattualità.
Per la Lega la vicenda è più complicata. La contropartita principale è il terzo mandato per i governatori, quel che serve per incollare Zaia al trono veneto. Forza Italia, che due giorni fa si era incaricata di mostrare il pollice verso, ora stempera: «I due mandati non sono un dogma», concilia il capogruppo Barelli. Questione di calcolo, anche qui. Le scosse del terremoto sardo lambiscono la Basilicata, fanno vacillare la candidatura del governatore uscente Bardi. È anche questa soprattutto guerriglia psicologica, dal momento che per la Lega, da quelle parti, trovare un sostituto credibile per insidiare Bardi sarebbe proibitivo. Ma ad ogni buon conto gli azzurri allentano la tensione evitando di puntare troppo i piedi sui mandati dei governatori. Ma il problema non sono mai stati loro. Il problema è Giorgia Meloni.
LA PREMIER NON È affatto rassegnata a mollare il Veneto, dunque sul terzo mandato non chiude tutte le porte ma neppure le apre. Oggi il cdm dovrebbe varare il decreto sull’Election Day (si voterà sabato 8 giugno dalle 14 alle 22 e domenica 9 dalle 7 alle 23), con la norma che elimina la regola dei due mandati per i sindaci dei comuni sino a 15mila abitanti. Salvini avrebbe voluto inserire qui anche la riforma dei mandati per i governatori. Non ci riuscirà probabilmente ma la posta in gioco, più o meno ufficialmente e apertamente, verrà messa sul tavolo oggi, quando potrebbe tenersi anche un vertice informale tra i leader. Ma oggi sarà il primo momento della verità per qualcosa di ancora più importante per la Lega: l’autonomia differenziata. Si sa che FdI e Fi non sono affatto convinti da un testo che temono verrebbe preso malissimo dal loro elettorato meridionale. Il braccio di ferro prosegue sotto traccia da un po’ ed è inevitabile che si intrecci con le altre sfide in corso tra i due principali partiti della destra. Sfida che peraltro proseguirà comunque. Ieri Salvini ha trovato modo di tirare una freccia appuntita contro l’alleata, prendendosela con «chi divide, magari dicendo no a Marine Le Pen, e così fa il gioco della sinistra». Il fischio alle orecchie dell’amica Giorgia deve essere stato assordante.
DOVE SALVINI NON HA invece quasi speranze è nella candidatura della premier alle europee. Senza Schlein in campo e nonostante Meloni ci tenga molto, anche perché spera così di trascinare il suo partito al 30% e oltre, evitare la presenza della premier in testa alle liste tricolori in tutte le circoscrizioni sarebbe possibile. Ma Schlein è invece più che propensa a candidarsi, anche lei in tutte le circoscrizioni. Starebbe anche considerando l’ipotesi del gesto bello e un po’ folle: optare davvero per Strasburgo. Ma con Schlein in campo, Salvini o non Salvini, la scelta di Meloni è già certa.
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