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Re-search Milano

Re-search MilanoOperai all'Expo di Milano – Lapresse

Intervista Arriva, grazie a un progetto di crowdfunding, una mappa underground della città oscurata dall’Expo. Un progetto collettivo per raccontare quello che non c’è più e tutto ciò che rimane invisibile. Parla Alessandro Bertante

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 aprile 2015

Re/search Milano, è il nuovo progetto di Agenzia X. Ne parliamo con Alessandro Bertante, scrittore e critico letterario, tra i primi sostenitori del progetto.

Economia, finanza, condizione sociale nei tuoi libri emergono in maniera forte e materialista nell’accezione migliore, quali sono i cambiamenti che noti maggiormente nella Milano spezzata di questi anni?

Milano negli ultimi trent’anni è cambiata in modo radicale, era la capitale dell’industria pesante e ora è diventata centro nevralgico, di forza europea, del terziario avanzato italiano. Questi sono cambiamenti strutturali che a cascata si sono riprodotti in tutto il tessuto sociale cittadino. Ciò ha determinato anche dei cambiamenti geografici e umani, sono venuti meno i luoghi di aggregazione propri delle periferie, di matrice popolare, e allo stesso tempo nei luoghi di aggregazione del centro città è venuta meno la forza propulsiva della borghesia milanese, che ha smarrito la sua parabola produttiva e culturale. Milano è stata sempre una città di borghesia culturalmente avanzata e progredita. Adesso non lo è più. La crisi della borghesia milanese è la crisi della sua città, del suo modello imprenditoriale. Questo è un dato di fatto che anche partendo dalle realtà underground non si può far finta di non vedere.

Viale Monza e via Padova – e il reticolo di vie che ci stanno in mezzo, dove hai ambientato Estate crudele – iniziano da Piazzale Loreto. I partigiani decisero di appendere Mussolini a Piazzale Loreto, e da Piazzale Loreto fino a Sesto e Crescenzago si possono trovare moltissime lapidi che ricordano la lotta dei partigiani. Si è combattuto molto in quella zona della città. Cosa sono i luoghi della memoria in una metropoli in continua mutazione?

I partigiani scelsero Piazzale Loreto perché venti giorni prima proprio lì ci fu un eccidio fascista. In quella zona – da Casoretto a Lambrate a Crescenzago – la presenza comunista è stata sempre forte. Per essere corretti è una zona popolare, operaia e comunista, non è un caso che la Volante Rossa venga da li, così come la Banda Bellini. In merito ai luoghi della memoria va segnalato che nessuno sa di preciso in quale parte di Piazzale Loreto fu appeso Mussolini. Le foto d’epoca non rendono merito al luogo perché la piazza ha subito uno stravolgimento dagli anni Cinquanta. In molti pensano all’angolo con Via Brianza, invece la pompa di benzina che si vede nelle foto d’epoca era proprio in mezzo alla piazza, un punto strategico che portava alle grandi industrie di Sesto, ma anche ai piccoli opifici artigianali di 10-15 dipendenti tra viale Monza e via Padova, che esistono tutt’ora. Milano ha smarrito la memoria e l’orgoglio della propria storia, questo è un dato tristemente oggettivo. I luoghi ci sono ancora, così come le lapidi che ricordavi, ma sono sperduti, sono squarci di una rappresentazione che non ha più seguito. E non è un caso che – rimanendo in quella zona, ma parlando di memorie più recenti – proprio in quel quartiere si siano concentrate le esperienze più significative dell’underground degli anni Ottanta e Novanta, non è un caso che al posto della sede storica del Leoncavallo ora ci sia un anonimo palazzo e non è rimasto alcun segno, alcuna traccia di quello che fu uno dei centri sociali occupati più importanti – come storia, sviluppo e realtà ed esperimento umano e politico – e più famosi d’Europa. Le lapidi dei partigiani rimangono perché non possono toglierle, il resto viene occultato. Così è successo anche all’Isola, dove non esiste alcuna memoria delle esperienze più significative della scena underground, come la Pergola e il Garigliano. Non mi stupisce che questa città si liberi facilmente della propria memoria, cambiano velocemente aspetti estetici, tessuto sociale, e si smarriscono i simboli. In poco meno di cinquant’anni Milano ha rimosso persino la sua memoria dell’acqua! Milano era una città d’acqua quasi quanto Venezia, acque sotterranee e di superficie, reticolo di corsi d’acqua naturali e artificiali, fiumi, canali, darsene, navigli, fontanili e risorgive.

«Non si ha genio senza ibridazione», scriveva già negli anni Settanta Gianni Brera, milanese d’altra epoca, liquidando in anticipo tutte le fobie identitarie e localistiche. Credi alla genialità dell’ibridazione e alla felicità del meticciamento?

Credo senz’altro nell’ibridazione, non so se questa poi porta alla genialità. Genialità è un termine che uso sempre con molta parsimonia perché è pericoloso. La storia di Milano è la storia dell’ibridazione, non esiste un milanese che abbia tutti i quattro nonni nati a Milano, perché l’immigrazione è stata così massiccia, così continua e così varia, con arrivi da tutte le regioni d’Italia. Parlare di identità a Milano fa sorridere perché già nei tempi precedenti alla rivoluzione industriale era una città famosa per i milanesi ariùs, i forestieri che ne assumevano la filosofia di vita, imprenditoriale e culturale, arricchendola però di nuovi apporti. L’integrazione con l’immigrazione del sud è evidente a Milano, a differenza di Torino dove ancora ci sono quartieri “meridionali” e quartieri “non-meridionali”, e lo si avverte anche nella lingua parlata. Dal Novecento si stabilizza una forte comunità eritrea e poi quella cinese, fino alla compresenza attuale di centinaia di lingue e idiomi. Milano prospera in quello che i nazisti chiamano in maniera spregiativa meticciato. L’ibridazione è un nostro orgoglio e credo che lo sia ancora. Una matrice di accoglienza a Milano resiste ancora, anche se più sfumata.

Attraverso i paesaggi linguistici. Da Franco Loi (poeta che ha dato lustro al dialetto milanese nella seconda metà del ‘900, e che guarda caso è un genovese-sardo trapiantato nella Milano operaia degli anni Trenta; un poeta non-identitario, della memoria non delle radici…) e i nuovi scrittori della narrativa migrante.

Loi ha avuto il grandissimo merito di riproporre quella lingua splendida che è il milanese, dialetto usato da grandi poeti dell’Ottocento e del Novecento, dal Porta a Tessa. Antichi sostrati e nuovi idiomi regalano una scossa alla lingua, anche se non conosco di persona scrittori della narrativa migrante milanese, questa esiste sicuramente, mi vengono in mente Pap Khouma, originario del Senegal, e Randa Ghazi, di famiglia egiziana, che però è nata in Italia e ha avuto una scolarizzazione italiana. Siamo ancora indietro nella valorizzazione della narrativa migrante di prima e seconda generazione, sia in lingua originale sia in lingua di adozione. Sarebbe bene che qualcuno indagasse questo fenomeno e questa mancanza.

In Magia rossa, uno stupendo romanzo degli anni ‘80, Gianfranco Manfredi racconta della Milano di fine ‘800, tra scapigliatura, esoterismo e moti rivoluzionari. Che rapporto ha Milano con la sua storia letteraria?

Sì, Magia rossa è un bel libro! Più recente, ma sempre di ambientazione ottocentesca, nella Milano risorgimentale delle Cinque giornate, notevole è anche Una storia romantica di Antonio Scurati. Quello tra Milano e la sua storia letteraria è un rapporto che si sta rinsaldando. Ci sono molti scrittori che attingono a piene mani dal periodo del secondo dopoguerra, degli anni Sessanta e Settanta. Forte è il richiamo – soprattutto per gli scrittori di genere – della lezione di Scerbanenco, che ha ambientato a Milano tutti i suoi romanzi più importanti. Poi mi vengono in mente scritture diversissime come quelle di Hans Tuzzi e di Marco Philopat, che con la Banda Bellini e Costretti a sanguinare racconta della storia recente, che però è una storia molto novecentesca. A causa delle accelerazioni e dei mutamenti degli ultimi anni questi romanzi sembrano ambientati in un altro mondo. Questo l’ho percepito leggendoli ai miei allievi.

Le lotte fordiste e le lotte/non-lotte di oggi… hai scritto un libro «contro« il ’68 e uno su Re Nudo, momenti ed esperienze significative per Milano.

In effetti sono due libri molto legati. Ho scritto Contro il ’68 dopo aver finito il giro di presentazioni di Re nudo, proprio perché mi sono reso conto che chi aveva attraversato quegli anni non capiva, rimaneva con il proprio orgoglio iconografico che ha bloccato le generazioni successive. Da lì ho iniziato a distinguere quello che fu il biennio delle lotte operaie del ’69 – che portò al rifiuto del lavoro – da quello che fu invece il ’68 studentesco e, a mio avviso, borghese. Questa è la matrice politica con cui io ho scritto Contro il ’68, che è una critica da sinistra al ’68, che considero un movimento borghese e reazionario che ha creato una nuova classe dirigente, i nuovi quadri imprenditoriali del terziario avanzato che negli anni Ottanta sono responsabili del grande sacco del mondo del lavoro, molti sposando la forza del Partito Socialista. Ma tornando rapidi al contesto di trasformazione sociale da cui eravamo partiti e alla funzione della borghesia, tutt’ora questi ex-sessantottini sono saldi ai propri posti. E sono gli stessi che hanno propagandato la narrazione nefasta che ha impedito alle generazioni successive di crearsi una propria storia e un proprio immaginario.

A proposito di immaginario, il Parco Lambro che, guarda caso, è laggiù in fondo a via Padova/via Palmanova, grazie ai Festival del proletariato giovanile che lì si svolsero negli anni ’70, secondo te è un luogo della memoria collettiva? Di Milano, ma non solo.

No, è stato completamente rimosso! Ma il Festival del ’76 fu un momento fondamentale, che fece da detonatore delle contraddizioni di cui dicevo prima. Il proletariato giovanile con le parole d’ordine dei sessantottini borghesi non andava d’accordo. Emersero le conflittualità che poi generarono il movimento del ’77, che invece fu veramente un movimento antagonista, antagonista anche al ’68 e non continuazione come vorrebbero alcuni. Il ’77 non fu uno sviluppo del ’68, ma fu l’antitesi dialettica. Fu un momento di grande esplosione di creatività, che poi sfociò anche in violenza, come spesso succede. Nessuno ricorda Parco Lambro in quanto sede del festival del proletariato giovanile, in cui Re nudo ebbe importanza fondamentale anche a livello organizzativo.

Milano era/è la capitale dell’editoria italiana, cosa noteresti di nuovo su questo rapporto?

Ne parliamo proprio nel momento in cui è stata comunicata la notizia della possibile acquisizione di Rcs da parte del gruppo Mondadori. E in questo non c’è nulla di nuovo, è la fine di un processo che è in atto da almeno quarant’anni. Venticinque anni fa tutti gli editori che ora fanno parte dei due colossi erano editori indipendenti. Bompiani era Bompiani, Einaudi era Einaudi, Garzanti era Garzanti. La centralizzazione a cui siamo arrivati ha creato questa sostanziale oligarchia. Chiunque studi la storia sa che questi processi prima di una possibile disintegrazione tendono all’abbassamento finale. Questi due blocchi che adesso si uniscono creando un mostro con il 40% della produzione nazionale non è altro che la fine di un processo economico in atto da molti anni e a cui nessuno ha mai tentato di porre un freno. Gli appelli di questi giorni mi sembrano intempestivi e maldestri, certo è che questo apre un grosso problema per quanto riguarda questioni economiche e per la capacità ricattatoria nei confronti della distribuzione, ma anche degli autori. Credo però che questa storia non finirà così, ci sarà qualcuno che riuscirà a sgattaiolare via, staremo a vedere.

A chi pensi se dico Milano e poesia/narrativa, ad Alessandro Manzoni o a Nanni Balestrini, ad Arrigo Boito o a Alda Merini, a Giuseppe Parini o a Giovanni Raboni…

L’immagine che ho di Milano è la metropoli, per cui sicuramente penso di meno a Manzoni e più a Balestrini. Ma ancora di più mi piace la Milano profonda, quella che non ti aspetti, che ti tradisce, che ti lusinga, quella meno conosciuta ma che ancora esiste e che riesce a stupirti quando scavi un po’ di più. Quella Milano secondo me funziona come dispositivo di narrazione. Non c’è mai stata letteratura legata alla Milano da bere e del fashion, non è suggestiva né evocativa. I romanzi riusciti sono quelli che scavano nella metropoli, nella Milano underground.

Re/search Milano – Mappa di una città a pezzi è il progetto editoriale più complesso e collettivo che Agenzia X ha mai proposto al pubblico. 120 milanesi, 120 artisti, intellettuali, militanti di centri sociali, giovanissimi migranti e molti altri rappresentanti della Teppa di Gutenberg, hanno partecipato alla stesura di un libro di 500 pagine che uscirà il 13 maggio. Alessandro Bertante è stato uno tra primi a rispondere al nostro appello per un guida underground d’autore sulla Milano lontana mille miglia dalla segnaletica ufficiale in vista di Expo. L’8 aprile scade il termine per il crowdfunding, la prevendita del libro e altre forme di sovvenzionamento, per tradurre il libro in inglese e diffonderlo a livello internazionale. http://www.eppela.com/ita/projects/2640/research-milano

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