Nelle carceri italiane, sovraffollate oltre ogni limite di rispetto dei diritti umani, «il 32% circa dei detenuti è di origine straniera; di questi il 54% è africano o di origine africana. Siamo preoccupati per questa sovra rappresentazione di popolazione straniera, in particolare afrodiscendente, nel sistema di giustizia penale italiano». Senza contare i casi di maltrattamenti e torture, o i singoli comportamenti delle polizie di qualunque corpo, in Italia si evidenzia un forte rischio di «razzismo sistemico» e istituzioni non adeguate a garantire «l’uguaglianza razziale nel contesto del sistema delle forze dell’ordine».

È QUANTO HANNO evidenziato i tre esperti indipendenti delle Nazioni unite, ieri nella sede della Stampa estera a Roma, a conclusione della missione svolta nel nostro Paese per monitorare la giustizia razziale italiana. In una settimana la giudice ghanese Akua Kuenyehia, presidente del Panel Onu, la dirigente del Center for Policing equity Tracie Keesee, statunitense, e l’argentino Juan Méndez, Special rapporteur delle Nazioni unite sulla tortura, hanno visitato penitenziari, Cpr e caserme a Roma, Milano, Catania e Napoli, hanno raccolto testimonianze, analizzato leggi e pratiche, consultato giudici, pubblici ministeri, avvocati e rappresentanti delle forze dell’ordine, incontrato l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, e diversi dipartimenti chiave all’interno dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia.

E DOPO OTTO GIORNI, tra le cose più importanti da anticipare del loro rapporto finale che sarà presentato a settembre al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, ci sono le denunce raccolte in più di un’occasione sulla profilazione razziale come base per controlli e perquisizioni da parte di polizia e carabinieri. Premesso che «il lavoro delle forze dell’ordine è difficile», e inviato un doveroso augurio di buona guarigione al poliziotto Christian Di Martino accoltellato durante un intervento alla stazione di Milano Lambrate, gli esperti dell’Onu hanno affermato chiaramente: «Il legittimo compito di promuovere la sicurezza e l’incolumità dei cittadini non dovrebbe essere interpretato come una licenza per impegnarsi nella profilazione razziale – ha detto la presidente Akua Kuenyehia – Questa pratica erode la fiducia nelle forze dell’ordine e, di conseguenza, riduce l’efficacia delle forze dell’ordine, oltre a creare associazioni dannose tra l’essere neri e la criminalità e la delinquenza».

PER CONTRO, tutti i corpi di polizia e i carabinieri contano su una presenza di agenti e militari afrodiscendenti vicina allo zero, hanno notato gli inviati Onu. «Abbiamo parlato con agenti che hanno espresso la necessità di servizi di supporto aggiuntivi per la loro salute e per quella dei loro familiari», riferisce Tracie Keesee che chiede di esentare poliziotti e carabinieri dagli interventi per i quali sarebbe più appropriato l’aiuto di altre figure socio-sanitarie, come ad esempio «nel trattare con persone senza fissa dimora e persone affette da crisi legate allo stato di salute mentale».

MANCA ANCHE una raccolta dati adatta ad analizzare le disparità razziali: «La raccolta, pubblicazione e analisi dei dati disaggregati per razza o origine etnica in tutti gli aspetti della vita, in particolare riguardo alle interazioni con le forze dell’ordine e il sistema di giustizia penale, è un elemento essenziale per progettare e valutare le risposte al razzismo sistemico», ha detto Juan Mendez. Razzismo che si evidenzia dalla mancanza di una legge sulla cittadinanza che non discrimini le seconde generazioni di immigrati. O nelle sfide che migranti e richiedenti asilo devono affrontare nell’accesso alle tutele legali, «spesso esacerbate dall’abuso di autorità da parte delle forze dell’ordine e dai ritardi burocratici». Mancanza di traduttori, servizi per l’immigrazione gestiti dalla polizia anziché da civili, uffici collocati in zone remote e difficilmente accessibili.

Tutto questo, e molto altro, genera «preoccupazione» negli inviati dell’Onu. E una domanda, che pone Tracie Keesee notando la mancanza totale di donne afrodiscendenti nelle leadership e nei posti di potere: «What is happening?». Cosa accade al Belpaese?