Europa

«Razioniamo l’acqua, la situazione sulla Ocean Viking non più sostenibile»

«Razioniamo l’acqua, la situazione sulla Ocean Viking non più sostenibile»Sul ponte della Ocean Viking

Da bordo, decimo giorno Ci troviamo fermi fra Malta e Linosa, in una posizione di attesa senza ricevere indicazioni dalle autorità competenti. Le persone soccorse sono pazienti ma la frustrazione è inevitabile

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 agosto 2019
Avra Fialas* Alessandro Porro **da bordo della Ocean Viking

Quando lo scorso dicembre abbiamo smantellato l’Aquarius, abbiamo fatto una promessa: saremo tornati presto in mare a salvare vite umane. Dopo otto mesi, quella promessa è stata mantenuta attrezzando l’Ocean Viking per il soccorso in mare. La sua prima missione nel Mediterraneo ha salvato 356 persone, che ora si trovano in attesa di un luogo di sbarco sicuro.

La nuova nave di Sos Mediterranée e Medici Senza Frontiere (Msf) è partita da Marsiglia il 4 agosto, con un equipaggio di soccorritori e di medici. Era previsto il rifornimento di carburante, ma Malta ci ha negato il permesso di entrare nelle sue acque territoriali.

Dieci giorni fa, il 9 agosto, la Ocean Viking ha ricevuto il suo battesimo come nave da soccorso, salvando 85 persone in fuga dalla Libia. Nei giorni successivi ci sono stati altri tre interventi: uno – l’ultimo – è stato particolarmente difficile perché al nostro arrivo il gommone dei naufraghi si è sgonfiato, causando la caduta in acqua di numerose persone.

Dopo quattro giorni di interventi, effettuati senza il coordinamento né il supporto di alcuna autorità marittima, la Ocean Viking ha a bordo 356 persone: più di quante possiamo agevolmente ospitare.

Sono 356 vite umane scappate dall’inferno dei centri di detenzione libici. Più di un quarto dei nostri passeggeri è minorenne e non accompagnato da genitori. Ci sono 5 donne e dei bambini piccoli. Sulla pelle di queste persone possiamo vedere i segni delle torture.

Si tratta di persone abituate ad aspettare e a ricevere ordini. Lo vediamo da come si mettono ordinatamente in fila per lavarsi, per ricevere una razione di cibo, per farsi visitare dai medici. Molti hanno voglia di raccontare le loro storie, ti fermano sul ponte e parlano di lunghi viaggi, di rapimenti, di sfruttamento, di amici e parenti visti morire. A due passi dall’Europa.

Oggi è il decimo giorno dal primo soccorso. Ci troviamo fermi fra Malta e Linosa, in una posizione di attesa senza ricevere indicazioni dalle autorità competenti. Le persone soccorse sono pazienti ma la frustrazione è inevitabile. «Dove stiamo andando? Quando arriviamo?» Domande legittime per chiunque dopo un tempo prolungato alla deriva.

Da terra ci chiedono ripetutamente se abbiamo dovuto evacuare pazienti oppure casi di salute critici. Per fortuna la risposta per il momento è no, ma non possiamo garantire la tenuta delle condizioni igieniche per un tempo indeterminato. Ci chiediamo se dobbiamo arrivare ad avere una situazione medica grave per meritare l’attenzione dei governi e dei media.

Le persone dormono a contatto del ponte, l’acqua viene razionata e distribuita con attenzione. Ogni notte sembra di essere in un campo profughi, in mezzo al mare.
Abbiamo ancora scorte di cibo, ma questa non è una situazione sostenibile: non è e non può essere la norma.

Secondo il diritto internazionale, le persone soccorse devono sbarcare in un luogo sicuro il più presto possibile. Per le stesse leggi, un soccorso si può dichiarare finito solo quando viene sbarcata anche l’ultima persona. A dieci giorni di distanza, il nostro soccorso è ancora in atto.

È da più di un anno che i soccorsi in mare vengono prolungati come un’agonia. Il primo caso di sbarco impedito lo abbiamo vissuto con l’Aquarius, che a giugno del 2018 è stata costretta a dirigersi a Valencia, a 5 giorni di navigazione dalla zona di ricerca e soccorso libica. Tutto il tempo che una nave di soccorso resta in attesa di un porto è tempo sottratto alla tutela della vita umana.

La sofferenza di queste persone si vede dai disegni che hanno fatto a bordo. Disegni di adulti, ma con il tratto incerto dei bambini. Disegni delle torture subite in Libia, delle condizioni nei centri di detenzione e i bombardamenti a Tripoli. Immagini che parlano da sole, che raccontano una sensibilità compromessa e che trovano riscontro nei corpi violati curati dai medici.
I giorni in mare passano tutti uguali. In attesa, senza risposte. Fino a quando l’Unione europea non troverà una soluzione. Ci auguriamo che non sia una soluzione ad hoc, per noi come per Open Arms o per le altre navi che periodicamente si trovano in questo tipo di stallo. Da più di un anno chiediamo all’Europa delle soluzioni di sbarco prevedibili, coordinate, sostenibili. Rispettose delle vite che salviamo.

* Responsabile comunicazioni Sos Mediterranée sulla Ocean Viking
** Soccorritore Sos Mediterranée sulla Ocean Viking

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