Raid nelle case, la vita sconvolta dei palestinesi
Cisgiordania Un rapporto di tre ong dei diritti umani descrive i danni ad ogni livello che subiscono i civili, anche bambini, dalle irruzioni dell'esercito israeliano per presunti motivi di sicurezza.
Cisgiordania Un rapporto di tre ong dei diritti umani descrive i danni ad ogni livello che subiscono i civili, anche bambini, dalle irruzioni dell'esercito israeliano per presunti motivi di sicurezza.
«…Al calar della notte, chiudiamo la porta e ci riuniamo dentro con la nostra famiglia, sicuri di essere protetti dal mondo esterno nelle nostre mura di casa…I palestinesi che vivono sotto occupazione in Cisgiordania invece sono costantemente vulnerabili all’invasione arbitraria delle loro case da parte delle forze di sicurezza israeliane». Comincia così Exposed Life il rapporto con cui tre ong per i diritti umani – Yesh Din, Breaking the Silence e Physicians for Human Rights – denunciano quanto i civili palestinesi, compresi i bambini, siano danneggiati fisicamente e mentalmente quando i soldati israeliani, il più delle volte nel cuore della notte, penetrano nelle loro abitazioni per presunte operazioni di sicurezza. L’indagine è fondata sulle testimonianze di 158 palestinesi ed interviste condotte da psichiatri e psicologi con 31 famiglie. Oltre che sui racconti di 45 soldati e ufficiali israeliani.
I risultati descrivono un aspetto drammatico della vita quotidiana di milioni di palestinesi sotto occupazione. Ogni mese, secondo dati citati dalle tre ong, l’esercito israeliano compie circa 200 raid in abitazioni palestinesi. In un quarto dei casi i soldati fanno uso di forza e violenza. Il portavoce militare replica che queste operazioni sono volte impedire «atti di terrorismo» e in non pochi casi portano all’arresto di sospetti e al ritrovamento di armi. La sicurezza però non si lega al furto di oggetti d’oro e soldi che, ad esempio, ha denunciato di aver subito uno dei testimoni, Samer Al Jabari, di Hebron. «Quando in piena notte i soldati hanno cominciato a battere sulla porta di casa, mi sono affacciato alla finestra e ho chiesto loro di non sfondare la porta. Sono sceso subito ad aprirla ma non hanno aspettato e hanno fatto irruzione accompagnati da cani». I militari poi hanno ordinato a tutta la famiglia di riunirsi in una stanza. «Ho chiesto cosa stessero cercando – prosegue al Jabari – e mi sono offerto di accompagnarli. Non mi hanno ascoltato e hanno tagliato divani e distrutto sedie e altri mobili». Quindi la sparizione di oggetti d’oro e contanti scoperta quando i soldati sono andati via. Altrettanto traumatici sono i danni allo stato mentale di chi subisce un raid. Negli adulti, riferisce la psichiatra Jumana Melhem, di Physicians for Human Rights, si registrano ansia e stress post-traumatico. In bambini e ragazzi disturbi del sonno e comportamenti aggressivi.
Le tre ong spiegano che qualsiasi giovane ufficiale israeliano può ordinare un’irruzione in una casa palestinese. Sottolineano la discriminazione tra coloni israeliani e i palestinesi che vivono nello stesso territorio geografico, la Cisgiordania. «I primi – scrivono – godono della tutela della legge israeliana che proibisce irruzioni arbitrarie nelle loro case, mentre i loro vicini palestinesi subiscono invasioni notturne senza il mandato di un giudice».
Sul portale d’informazione Walla, Ziv Shathal, di Yesh Din scrive che il governo Netanyahu segue con attenzione i passi della Corte penale internazionale dell’Aja che vuole indagare Israele per crimini nei Territori occupati. Nei passati quattro anni, Donald Trump ha protetto Israele. Con Joe Biden alla Casa Bianca la linea degli Usa sarebbe in parte destinata a cambiare. Israele respinge le indagini internazionali sostenendo di avere un sistema giudiziario, civile e militare, in grado di giudicare in piena autonomia. «Ma questo sistema – dice Ziv Shathal – seppellisce le indagini più di quanto le svolga». La possibilità che una denuncia palestinese porti all’incriminazione di un soldato è inferiore all’1%.
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