La serie dei corti prodotti dallo sponsor MiuMiu, dedicata alle donne, registe e personaggi, è arrivata quest’anno al numero 11 e 12, rispettivamente con Seed e That One Day. Il giapponese Seed diretto da Naomi Kawase ha il suo punto di forza in una delle attrici migliori di questi anni, Sakura Ando, che abbiamo avuto modo di scoprire un paio di anni fa al Far East, sensibile quanto fisica tanto da cimentarsi persino nel ruolo del pugile.

Nel film Sakura Ando è uno spirito delle acque e dei boschi che si muove come un albero scosso dal vento, facendo bizzarre capriole, nella zona sacra intorno a Nara, tra cascate e stormire di fronde- una natura che, come nel film di Wenders, si affaccia con voluta incongruità su un paesaggio urbano. Qui coglie il seme del titolo che scambia poi con una bella mela rossa (anche quella c’era in Wenders, ma è logico: è il frutto simbolico per eccellenza) che le offre un ragazzo e che porta con sé nella metropoli, una Tokio inquietante dove offre il frutto a un senza tetto, che le dà in cambio un velo di chiffon bianco che lanciato verso il cielo si trasforma in una nuvola impalpabile. Un omaggio poetico alla cultura visiva e religiosa giapponese.

That One Day della newyorchese Crystal Moselle (di recente vincitrice del premio per il documentario a Sundance) ha come protagonista Rochelle, una diciassettenne solitaria che sta bene solo con il suo skateboard, ma su una pista dove si è scontrata con l’aggressività dei coetanei maschi incontra delle ragazze molto abili con la tavola che la accolgono nella loro banda, le insegnano alcuni passaggi ma anche a truccarsi e la portano a ballare (stupendi gli abiti dello sponsor), facendola sentire per la prima volta non più sola. Il gruppo delle ragazze quindi non come un branco, ma come un cerchio magico che la protegge.

Ragazze solidali anche le protagoniste del durissimo documentario The War Show, che ha vinto la sezione delle Giornate degli autori aggiudicandosi il premio che gli è stato assegnato dalla Giuria Ufficiale del Venice Days Award presieduta da Bruce LaBruce.

Un’opera che racconta la storia del conflitto siriano dai giorni delle illusioni stimolate dalla primavera araba all’emergere del movimento integralista. Produzione danese-finlandese, la regia è firmata da Andreas Dalsgaard e da Obdaidah Zyton, una popolare DJ di una radio siriana che trasmetteva musica rock- hip hop araba, con testi politicizzati e ribelli. Il film utilizza materiali girati fin dal 2011 dai protagonisti, due giovani coppie in cui le donne portano avanti un discorso avanzato di emancipazione per le ragazze arabe.

Capelli lunghi e canne, i ragazzi partecipano alle manifestazioni contro Bashar al-Assad, sfuggendo ai pestaggi furiosi da parte dei militari del regime, spostandosi anche in provincia, fino a Zabadani, centro della resistenza. Nel loro percorso incontrano all’inizio i militari che abbandonano l’esercito di Assad per formare l’esercito siriano libero, gli insurrezionisti che protestano contro l’abbandono in cui li hanno lasciati le potenze internazionali, via via fino ai ragazzini che crescono con le armi in mano e che giocano addestrandosi a sparare con precisione, e ai funerali dei martiri.

La transizione verso il fondamentalismo del califfato è documentata nella sua drammatica progressione, fino all’esito tragico nella vita stessa dei protagonisti, che rimangono vittime della repressione e del conflitto, mentre le ragazze si salvano, e si rifugiano in Europa, dove riescono a mettere insieme questo film. Unico attimo di tregua nell’escalation di violenza e impotenza, una vacanza dei ragazzi ai confini della Turchia, a cantare nei falò sulla spiaggia e a nuotare in un mare che ora invece accoglie i corpi dei siriani e dei profughi che non ce la fanno a raggiungere le sponde inospitali dell’Europa.