Si fa fatica a ricordare com’era il mondo nel 1988, l’anno in cui per l’ultima volta l’Italia è stata paese ospite alla Buchmesse di Francoforte. Chi avrebbe immaginato allora che una manciata di mesi dopo il Muro di Berlino sarebbe caduto, le due Germanie si sarebbero riunite, gli equilibri globali avrebbero cambiato assetto? e qui da noi, chi avrebbe previsto che di lì a poco, nel 1994, sarebbero andati al governo gli eredi di un partito neofascista, la cui fiamma tricolore occhieggia ancor oggi nel simbolo di Fratelli d’Italia?

SEMBRA UN’ALTRA ERA, e non solo per questo: Internet era un embrione, i social un incubo nei romanzi di fantascienza e i libri erano fatti esclusivamente di carta.

Alla fiera di Francoforte era la prima volta che si assegnava ufficialmente la vetrina d’onore a un paese, e in quel caso il Padiglione italiano poté giocare sulla presenza di Umberto Eco, che negli anni precedenti con Il nome della rosa aveva venduto solo in Germania circa tre milioni di copie.

TRENTASEI ANNI DOPO, l’Italia torna dal 16 al 20 ottobre alla Buchmesse come ospite d’onore e il commissario straordinario alla manifestazione, Mauro Mazza (ex Secolo d’Italia, ex Tg2, ex Rai1), presentando ieri il programma, ha tenuto a sottolineare che quella storia di successo non si è mai interrotta, e da allora «il mercato italiano è cresciuto del 411%» – un risultato cui ha fatto riferimento in termini più precisi anche il presidente dell’Associazione italiana editori, Innocenzo Cipolletta, chiarendo che al netto dell’inflazione «l’editoria italiana ha più che raddoppiato le vendite di libri: da 50 milioni l’anno a 112 milioni».

Così come è indubbio che i diritti di traduzione all’estero siano enormemente aumentati: mancano i dati del 1988, ma negli ultimi vent’anni la cifra è quadruplicata, da 1800 a 7889.

Avrà questa nuova presenza italiana alla Buchmesse un effetto propulsore come comprensibilmente si aspettano gli editori e tutti coloro che fanno parte della filiera del libro? Molto, se non quasi tutto, dipenderà dalla capacità delle varie case editrici di proporsi sul mercato internazionale in un momento per certi versi ancora favorevole (l’effetto Elena Ferrante non si è del tutto smorzato). Quanto a Radici nel futuro (questo il nome dato da Mazza alla vetrina ufficiale a Francoforte e al sito che le è dedicato), non si può dire che si sia peccato di originalità, né era quello, a occhio, l’obiettivo che si voleva raggiungere.

UN PRIMO INDIZIO era già arrivato dal promo di lancio, firmato dallo stesso Mazza, dove una famigliola ereditata dal Mulino Bianco osserva, sorridente e rapita, volumi che volteggiano fra la biblioteca Angelica e il Colosseo. Ma la conferma è arrivata ieri con la presentazione del programma: nella «piazza» ideata da Stefano Boeri per il Padiglione Italia, «simbolo della creatività culturale italiana», non mancheranno le mostre (citate ieri, due dedicate a Aldo Manuzio e agli scrittori italiani del Novecento) e i concerti (Verdi, Puccini e canzoni popolari). Ma sarà pure bello – si augura il commissario straordinario – che tra un incontro e l’altro si canti e si suoni tutti insieme. I mandolini non sono stati evocati, ma quasi di certo saranno tirati fuori al momento giusto.

E autrici, autori? La lista è chilometrica, impossibile elencarli tutti, o solo alcuni. Tutt’al più, possiamo citare uno che non ci sarà: Roberto Saviano, escluso dal programma, a dispetto della pluralità sventolata da Mazza come «stella polare, a differenza di quanto avveniva in passato», allusione chiara al tempo in cui non regnava Giorgia. Peccato che nessuno gli abbia fatto notare come la (relativa) inclusività di autori non «omogenei» al governo nasca dalla constatazione che altrimenti la piazza di Boeri rimarrebbe vuota.