Rachilde è il nom de plume di Marguerite Eymery (1860-1953), ispirato a un nobiluomo medievale svedese apparsole in alcune sedute spiritiche. Nel suo biglietto da visita era scritto «Rachilde homme de lettres» e lei stessa si definiva «Androgino delle Lettere». Pubblicò numerosi libri, tra cui i romanzi La Marquise de Sade (1887), La Tour d’amour (1899), La Jongleuse (1900), nonché la pionieristica biografia Alfred Jarry ou Le Surmâle des lettres (1928) e il pamphlet Pourquoi je ne suis pas féministe (1928), recentemente tradotto dall’editore Prospero. Rachilde frequentava l’ambiente simbolista e decadente, dal quale deriva in gran parte la sua opera proteiforme. Si dichiarava bisessuale e aveva ottenuto dalla Prefettura il permesso di agghindarsi in abiti maschili (ma la trasgressione abbisogna di un lasciapassare?). Condivise con il marito Alfred Vallette l’avventura del «Mercure de France», che sostenne e pubblicò autori dissimili tra loro come Rénard, Schwob, Jarry, Léautaud, Wilde. Quest’ultimo si chiedeva, con la consueta disinvoltura: «È stata davvero quell’enigmatica creatura in abito di lana nera a scrivere Monsieur Vénus?».

Questo romanzo, considerato il suo lavoro più riuscito, venne pubblicato a Bruxelles da Auguste Brancard nel 1884 suscitando scandalo e sconcerto. Rachilde fu condannata per pornografia a duemila franchi di ammenda e due anni di reclusione, peraltro non scontati in quanto si guardò bene dal tornare in Belgio. Tra i capi d’accusa anche quello di sollecitare perversioni fino ad allora sconosciute, sbeffeggiato da Verlaine: «L’inventore di un vizio nuovo sarebbe un benefattore dell’umanità». Il suo appartamento parigino, sito al n. 5 di rue des Écoles, venne perquisito per trovare il romanzo incriminato ma duecento copie erano state accuratamente nascoste in un armadio da Jean Moréas. Nella prefazione Maurice Barrés parla di «un libro abominevole ma delicato nella perversione» (nel 1972 Leonor Fini illustrò un’edizione d’arte da cui traspare questo abbinamento controverso). Lo stesso Barrés soprannominò l’autrice Mademoiselle Baudelaire, con la variante di Mademoiselle Salamandre, coniata da Jean Lorrain; Barbey d’Aurevilly ne parlava come di un «distinto pornografo». Da ricordare anche il più tardo sodalizio con il Marinetti parigino dei «manifesti».

Ora Monsieur Vénus Romanzo materialista (pp. 184, € 18,00) viene riproposto da WoM Edizioni nella scorrevole versione di Matteo Pinna. Il volume era già stato tradotto nel 1982 da Alix Turolla Tardieu per le Edizioni delle Donne, con un’introduzione di Ginevra Bompiani (non sarebbe sfigurato nella collana «Il Pesa-Nervi», curata dalla stessa studiosa con Agamben per Bompiani o nella borgesiana «Biblioteca di Babele» di Franco Maria Ricci) e ristampato dagli Editori Riuniti nel ’94. Nonostante nel nostro paese il nome di Rachilde sia caduto nel dimenticatoio, si sono succedute nel tempo diverse traduzioni dei suoi romanzi, soprattutto da parte dell’editore Facchi, oltre un secolo fa. Bisogna inoltre menzionare la raccolta di racconti Il demone dell’assurdo, pubblicata da Studio Tesi nel 1993.

Monsieur Vénus, ripubblicato sull’onda del dibattito sulle questioni di genere, è un romanzo sconcertante e, al tempo stesso, piuttosto attuale, atto a configurarsi come una sorta di narrazione fantastica se non fosse per il carico di problematiche sessuali che necessariamente si trascina. La trama ruota intorno all’inversione dei ruoli consolidati: la protagonista Raoule de Vénérande, giovane aristocratica che si veste e si atteggia da maschio, si innamora di Jacques Silvert, fiorista dalle fattezze efebiche, paragonato ad Antinoo, esigendo da quest’ultimo totale obbedienza e una condotta remissiva. Tutto il libro si basa intorno a questo equivoco di fondo: Raoule è una donna che si atteggia a uomo, Jacques è un uomo che aspira a essere donna.

Ciascuno si investe del sesso dell’altro, a cominciare dal logos che accompagna ambiguamente ogni pulsione, capovolgendo le reali identità dei personaggi. D’altro canto le «nuove depravazioni» scaturite da questa liaison si compenetrano nella coppia, tesa apparentemente a ripristinare i relativi ambiti sessuali, costituita da de Raittolbe, ex ufficiale ussaro che aspira alla mano di Raoule, e da Marie, sorella di Jacques, prostituta e ninfomane. In realtà anche la figura di de Raittolbe risulterà coinvolta in pratiche devianti, perdendo fatalmente qualsiasi funzione normalizzatrice.

Il finale, con l’automa di Jacques ricostruito in cera adoperando capelli, peli, denti e unghie sottratti al cadavere, presenta parecchie analogie con il romanzo Eve future di Villiers de l’Isle-Adam, edito nel 1886. Ma è necessario ribaltarne la messinscena: non più un manichino di donna ma di uomo che anela allo status muliebre alla stregua di una nemesi. Osserva Ginevra Bompiani: «Qui il rovesciamento non è tra femminile e maschile, ma quello più originario fra animato e inanimato. Come nell’Eva futura l’anima non si sprigiona dal corpo, ma dall’automa; così per Rachilde, l’amore non si sprigiona dal sesso, ma dalla sua perversione». Un libro dimenticato della fin de siècle ottocentesca aveva dunque prefigurato il queer.