Quirinale con vista, annebbiata, sulla Libia
Draghi in Libia con il premier ad interim Abdul Hamid Dbeibah – Ap
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Quirinale con vista, annebbiata, sulla Libia

Tripoli Elezioni addio.
Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 26 gennaio 2022

I destini dell’Italia e della Libia, pur con le ovvie differenze, sembrano intrecciarsi. Lunedì fumata nera per il Quirinale, nello stesso giorno in cui avrebbero dovuto tenersi in Libia le elezioni presidenziali e dove ora non sappiamo neppure se ci sarà, e come, un nuovo governo.

Ma i parallelismi non si fermano qui. Il mantra dei nostri conformisti è questo: gli alleati vogliono un Italia “stabile e credibile”. Lo scrivono i giornali, lo ripetono le tv. Bene, nel 2011 Usa, Francia e Gran Bretagna bombardarono Gheddafi ignorandoci totalmente: un disastro che paghiamo ancora oggi in termini politici, umanitari ed economici. La verità è che i nostri alleati non si fidano dei nostri conti pubblici e noi non ci fidiamo di loro. I nostri alleati dovrebbero casomai rimborsarci i danni causati e invece hanno lasciato il peso dei migranti sull’Italia e sulle organizzazioni non governative che si occupano di salvarli in mare.

Peccato che nel 2011 ci siamo uniti ai raid della Nato (la Germania rimase neutrale) e quindi non possiamo neppure lamentarci. La decisione fu presa dal presidente Giorgio Napolitano, capo delle forze armate e in barba all’articolo 11 della costituzione secondo il quale “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: ecco perché il presidente è importante, certo non una figura decorativa. Cosa da tenere presente in un momento in cui si vorrebbe trasformare una repubblica parlamentare in una semipresidenziale senza neppure cambiare la costituzione, cosa che stanno per fare in Libia nella “roadmap” verso nuove elezioni.

La responsabilità fu ammessa dallo stesso Napolitano in un’intervista del 2017. La scena al centro della ricostruzione di quei giorni del 2011 è una sala del teatro dell’Opera di Roma dove sul finire dell’esecuzione del Nabucco dedicata alla celebrazione del 150 anniversario dell’unità d’Italia, le più alte autorità presenti ricevono la notizia che il consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato l’intervento armato in Libia e che gli aerei francesi e i missili di Usa e Gb sono già in rampa di lancio per fermare le truppe di Gheddafi verso Bengasi. Berlusconi, il 18 marzo, si arrende sconsolato con una frase riportata da testimoni oculari: “Signor presidente rimetto a lei la decisione come capo delle forze armate”. In precedenza Napolitano aveva riunito il Consiglio supremo di difesa e dichiarato che “Gheddafi sta sfidando il mondo”, l’Italia non può restare indifferente” e che “non si comprende la scelta di neutralità della Merkel”.

Neutralità è una parola che fa paura nella Nato, eccome. Echi di quell’epoca si rintracciano anche oggi nella crisi ucraina: non a caso ieri Macron era a Berlino dal cancelliere Scholtz, a capo di una coalizione divisa sulla Russia, da cui la Germania, come l’Italia, dipende assai per le forniture energetiche. Per non parlare del fatto che è tedesca la prima vittima militare di questa crisi, visto che il capo della Marina tedesca, vice ammiraglio Achim Kay Schoenbach, ha dovuto dimettersi per avere affermato che “Putin merita rispetto”.

Ma tornando alla Libia bisogna proprio vedere di chi siamo alleati noi e da che parte tira davvero il vento da quelle parti. Nella cronica confusione tra governo di Tripoli, Parlamento di Tobruk, Alta commissione elettorale, road map per elezioni e costituzione, non si capisce ancora bene dove stiano gli alleati dell’Italia i cui interessi energetici, compreso il gasdotto Green Stream con la Sicilia, sono soprattutto in Tripolitania.
Nel Mediterraneo l’Italia sta a guardia dell’atlantismo senza portare a casa nessuno vantaggio, né sul lato economico né su quello umanitario, le vite dei migranti restano nelle mani delle milizie libiche da noi finanziate, né sulla stabilizzazione della Libia. Abbiamo lasciato insieme ai nostri alleati che la Turchia si impadronisse della Tripolitania salvando il governo Sarraj nel 2019 sotto assedio del generale Khalifa Haftar, appoggiato dalla Russia, dall’Egitto, dagli Emirati ma anche dalla Francia.

L’imbroglio libico spinge l’Italia a stare con Tripoli dove la Turchia, membro storico della Nato, manovra anche la questione profughi mentre dall’altra parte la Francia maneggia Haftar sempre più incline, come riporta la stampa israeliana, a entrare nel Patto di Abramo con lo stato ebraico. Gli interessi francesi sono evidenti: Macron ha appena chiuso un contratto di 17 miliardi di euro con gli Emirati Arabi Uniti per fornire 80 aerei Rafale e 12 elicotteri Caracal. Un successo che segue l’annullamento della commessa australiana per i 12 sommergibili Barracuda, un “siluro” tirato da Washington e Londra a Parigi. Con la Francia già impegnata a fianco dell’Egitto sul fronte libico e con la Grecia nel Mediterraneo orientale in funzione anti-turca, la Libia insomma è diventata un formidabile poligono per le alleanze occidentali e mediterranee. Contano tutti, tranne noi che quando vogliamo avere voce in capitolo, come nel 2011, ci buttiamo la zappa sui piedi e facciamo anche peggio che stare fermi.

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