Mentre i servizi segreti russi dichiarano di aver sventato un attentato a Stavropol, proseguono le indagini sul terribile massacro al Crocus City Hall di Mosca (almeno 140 morti e 150 feriti) fra propaganda, interrogatori, pestaggi e nuovi arresti. In particolare, ieri si sono verificati alcuni importanti sviluppi direttamente sul territorio della repubblica centrasiatica del Tagikistan (da cui sembrerebbero provenire tutte le persone già fermate nei giorni scorsi dalle autorità di Mosca): secondo il canale di informazione Asia-Plus, 15 residenti della capitale Dushanbe e della vicina località di Vahdat sono stati presi in custodia dalle forze di sicurezza del paese perché sospettati di organizzare degli attentati terroristici in vista di alcuni eventi legati alle prossime festività del Newroz; inoltre, secondo una fonte interna dell’agenzia Reuters (confermata da diversi media), lunedì sarebbero state arrestate altre nove persone nel sospetto di connessioni con gli uomini ritenuti responsabili dell’attentato del Crocus City Hall, oltre che di avere rapporti con l’Isis-k (ramo dello Stato Islamico che ha rivendicato la paternità dell’attacco terroristico). Pure questi arresti sono avvenuti nella località di Vahdat, luogo d’origine di uno dei detenuti a Mosca, Saidakram Rajabalidoza.

Nessun commento per ora da parte del presidente della repubblica centrasiatica Emomali Rahmon, che in una conversazione telefonica con Putin a un paio di giorni dal massacro aveva comunque ribadito la piena disponibilità a una «stretta collaborazione per combattere terrorismo, estremismo e qualsiasi manifestazione di radicalismo religioso». Nessuna novità: in tema di sicurezza Dushanbe e Mosca hanno rapporti di cooperazione molto stretti (entrambe nell’alleanza del Csto, il Tagikistan ospita una delle più grosse basi militari russe), teoricamente molto orientati al contrasto del terrorismo di matrice islamica data sia la prossimità con l’Afghanistan che la pervasività di questo tipo di radicalizzazione all’interno della stessa società tagika (all’inizio di marzo il presidente Rahmon dichiarava che negli ultimi dieci anni si sarebbero verificati almeno 86 tentativi di attacco terroristico e assassinio nel paese).

Nel frattempo, si è anche stretto il cerchio della repressione attorno alle famiglie dei presunti attentatori detenuti in Russia. Sembrerebbe infatti che nel villaggio di Loyobi nei pressi della città di Hisor, circa 25 chilometri dalla capitale, siano stati fermati e prelevati nei giorni scorsi praticamente tutti i parenti di Faridoun Shamsiddin, un altro dei sospetti: secondo le cronache di Asia-Plus, l’intera cerchia dei genitori, della moglie con il figlio di otto mesi, zio e cugini sarebbero stati presi in custodia e allontanati dalla località; la Bbc riferisce inoltre che alcuni investigatori dei servizi di Mosca sarebbero arrivati per procedere agli interrogatori e che Shamsiddin, stando ai resoconti dei suoi concittadini, avrebbe passato del tempo in Turchia fra il suo primo trasferimento in Russia e l’attacco al Crocus City Hall (com’è usuale per tanti migranti economici). Omer Celik, portavoce del partito di governo turco Akp, cerca di togliere peso alle eventuali responsabilità della Turchia e alza la posta dichiarando: «Un attacco del genere non può accadere senza il supporto dell’intelligence di qualche paese».

Intanto in Russia il fermo di un’altra persona presumibilmente coinvolta nella strage, Nazrimad Lutfolloi, è stato tramutato ieri in arresto dalla corte del distretto di Basmanny della capitale, con l’accusa di finanziamento ai terroristi, mentre a San Pietroburgo l’associazione per i diritti umani Pervyj Otdel riferisce di operazioni di deportazioni di massa di persone migranti.