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Quello che lo spot di Salvini non dice

I dati del Viminale sugli sbarchi «Dalle parole ai fatti» l’hashtag da diffondere, accompagnato da un video che riporta alcuni dati del Viminale e termina col ministro dal volto sorridente, complice e certamente soddisfatto. Perché, finalmente, […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 19 marzo 2019

«Dalle parole ai fatti» l’hashtag da diffondere, accompagnato da un video che riporta alcuni dati del Viminale e termina col ministro dal volto sorridente, complice e certamente soddisfatto. Perché, finalmente, sono stati azzerati gli sbarchi ed è finita la mangiatoia (rigorosamente in maiuscolo). Al di là dei toni, non c’è dubbio che il dato relativo alle sole 335 persone che sarebbero sbarcate in Italia dall’inizio dell’anno faccia impressione, ma non tanto per la presunta capacità del ministro di aver fermato l’invasione: il pensiero va una serie di dati ben più impressionanti, e cioè l’aumento di morti e dispersi nel Mediterraneo e le condizioni disumane di decine di migliaia di persone incarcerate nei centri libici e dimenticate.

Il quadro non è completo, infatti, se non si mettono in fila tutti i risultati della strategia in atto, inaugurata dal memorandum d’intesa firmato da Gentiloni e Serraj due anni fa e tesa da un lato, a bloccare i flussi verso l’Italia attraverso la guardia costiera libica a cui Italia e Ue hanno offerto risorse, mezzi, addestramento; dall’altro, a ostacolare il salvataggio in mare da parte delle navi militari e umanitarie. Al dato delle persone sbarcate in Italia nel 2018 rispetto al 2017 (23.400 rispetto a 119.400, con un calo dell’80%) andrebbe dunque affiancato il numero di morti e dispersi registrati dall’Unhcr nello stesso anno davanti alla Libia, 1.311 a fronte dei 2.872 del 2017 (-54%): è evidente che in relazione agli arrivi, il numero dei morti è aumentato fino a toccare un picco tragico nel mese di giugno scorso di una persona morta ogni sette partite. E nel 2019, sono già 153 le morti registrate.

Altro aspetto da prendere in considerazione riguarda i profughi partiti e poi intercettati dai libici e finiti nuovamente prigionieri nelle mani delle milizie che gestiscono i centri, ufficiali e non, dove ricatti, violenze, stupri, torture, come testimoniato da più fonti a livello internazionale, sono all’ordine del giorno. Sono informazioni non disponibili sul sito del ministero dell’interno ma dalla risposta a un’interrogazione del deputato radicale Riccardo Magi del gennaio scorso si apprende che nel corso del 2018 la guardia costiera libica ha recuperato «nell’area Sar di propria competenza» 12.780 migranti, a cui si aggiungono 788 recuperati da parte di pescherecci e altre imbarcazioni. Dove sono queste persone? Quali garanzie di protezione i libici possono offrire loro? Cosa sono costrette a subire? Su questo il Viminale tace.

Un altro elemento emerge chiaro: il video di un minuto snocciola dati e grafici colorati evidenziando novità e successi rispetto al passato come si trattasse di percentuali di crescita della ricchezza o del benessere degli italiani: ««in crescita i dinieghi dal 56% al 77%», «permessi umanitari dal 27% al 2%». Peccato che si parli di decisioni che incidono sulla vita di migliaia di persone arrivate in Italia da mesi se non da anni e in attesa di una risposta sulla loro richiesta di asilo. Molti di loro hanno nel frattempo stretto relazioni e trovato un lavoro, ma se la risposta è negativa si ritrovano irregolari, senza la possibilità di continuare a lavorare anche in presenza di un datore di lavoro pronto ad assumerli. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari veniva rilasciato anche in questi casi. Ora tutte queste persone si aggiungeranno alle centinaia di migliaia senza documenti già presenti sul nostro territorio, senza nessuna prospettiva se non quella di accettare condizioni di lavoro inique fino allo sfruttamento o di finire nelle mani della criminalità. E senza la possibilità di prendere una casa in affitto e quindi col rischio di finire per strada o in situazione precarie, con un impatto inevitabile sulle nostre città.

La soluzione a tutto ciò è una parola magica, ripetuta tante volte dallo stesso ministro in campagna elettorale, ma che da quando è al governo non risuona più come prima: rimpatrio. Probabilmente perché anche nel 2018 i rimpatri si sono mantenuti intorno alle 5.000 persone, come in passato, e nessun progresso sembra essere stato fatto in termini di accordi con i Paesi di provenienza. Anche di questi dati non c’è traccia nel video né tanto meno sul sito ministeriale. La propaganda usa strumenti sicuramente efficaci ma decisamente parziali.

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