Quelle mani della destra sui partigiani di Via Rasella
L'anti-antifascismo al governo La più importante azione della Resistenza europea in una capitale occupata dai nazifascisti, lodata dagli Alleati, è oggetto di attacchi dai tempi di Giannini. E fino a La Russa. Gli eredi missini ascesi ai vertici della Repubblica hanno continuato a marciare nel solco di Almirante
L'anti-antifascismo al governo La più importante azione della Resistenza europea in una capitale occupata dai nazifascisti, lodata dagli Alleati, è oggetto di attacchi dai tempi di Giannini. E fino a La Russa. Gli eredi missini ascesi ai vertici della Repubblica hanno continuato a marciare nel solco di Almirante
«C’è una Roma del centro in cui apparentemente nulla è mutato. Una Roma dei quartieri popolari, da Trastevere all’Esquilino, in cui sono evidenti i segni della vitalità clandestina. E infine la Roma assurda delle borgate in cui fermenta uno spirito di ribellione simile a quello che s’era manifestato nelle Quattro Giornate napoletane». É dentro questa Roma del 1944 – descritta dallo storico e partigiano Roberto Battaglia – che il 23 marzo 1944 i Gruppi di Azione Patriottica del Partito comunista colpiscono i militari nazisti del III battaglione del Polizeiregiment Bozen in transito in Via Rasella. L’attacco provoca la morte di 33 soldati. Per vendetta i tedeschi e i fascisti italiani compiono, nella più assoluta e vigliacca segretezza, la strage delle Fosse Ardeatine.
La fuga della monarchia sabauda l’8 settembre 1943, la conseguente eclissi del potere politico-istituzionale e l’abbandono della popolazione civile al dominio nazista avevano lasciato Roma senza alcuna difesa. Furono i Gap a rappresentare la più agguerrita ed efficace leva di forza contro il terrore degli occupanti.
QUELLA DI VIA RASELLA è stata la più importante azione della Resistenza europea in una capitale occupata dai nazifascisti e meritò l’encomio dei Comandi Alleati che dal gennaio 1944 (dopo lo sbarco di Anzio-Nettuno) si avvalevano della guerriglia partigiana di Roma come strumento di attacco dietro le linee della Wehrmacht. Non fu certo la sola compiuta durante i nove mesi di lotta armata che attraversarono e segnarono il corpo della Capitale fino alla Liberazione del 4 giugno 1944. Centinaia erano stati gli attacchi in tutta la città, divisa dal Comitato di Liberazione Nazionale in otto zone operative, ad opera delle formazioni comuniste, socialiste, azioniste (che avevano costituito la Giunta Militare tripartita) e del gruppo «dissidente» (perché esterno al Cln) di Bandiera Rossa.
Il 10 marzo in Via Tomacelli, il Battaglione fascista «Onore e Combattimento» era stato sbaragliato con lancio di bombe a mano Brixia da un nutrito Gap guidato da Mario Fiorentini e Rosario Bentivegna. Nel 1950 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, conferì a Bentivegna e Franco Calamandrei (comandante dei Gap «Sozzi» e «Garibaldi») la medaglia d’argento al valor militare per l’attacco di Via Rasella e molti altri gappisti vennero decorati dalla Repubblica per le tante azioni di guerriglia partigiana compiute a Roma: Lucia Ottobrini, Mario Fiorentini, Maria Teresa Regard, Ernesto Borghesi, Marisa Musu, Pasquale Balsamo, Carlo Salinari e la medaglia d’oro Carla Capponi. Questa è stata la storia di Roma nella primavera del 1944.
Tuttavia, già nell’immediato dopoguerra, si affacciarono le «memorie» antipartigiane e Via Rasella divenne il campo delle leggende: i manifesti tedeschi mai esistiti che avrebbero invitato i Gap a presentarsi per evitare il massacro delle Ardeatine; le teorie del complotto per cui il Pci avrebbe compiuto l’attacco per far fucilare antifascisti rivali prigionieri dei nazisti (alle Ardeatine vennero in realtà trucidati decine di militanti comunisti); l’inopportunità dell’azione che avrebbe rotto la (inesistente) pace di Roma (che aveva già subito la strage di Pietralata, le deportazioni di carabinieri e ebrei; le fucilazioni di Forte Bravetta; le torture di Via Tasso); l’inutilità dell’azione (e dunque della Resistenza in tutta Italia e in tutta Europa) visto che la città sarebbe stata comunque liberata dagli anglo-americani.
«COMINCIARONO I MONARCHICI, Guglielmo Giannini con il suo Uomo qualunque e Il Tempo di Angiolillo – scrive Bentivegna -, hanno proseguito filistei e fascisti di tutte le estrazioni». Era il 29 maggio 1979 e il gappista che accese la miccia della bomba in Via Rasella rispondeva per lettera ai suoi capi politico-militari dell’epoca, Giorgio Amendola e Antonello Trombadori, che lo invitavano a denunciare per vilipendio il segretario del Msi, Giorgio Almirante.
Gli eredi missini oggi ascesi ai massimi vertici della Repubblica antifascista hanno continuato a marciare nel solco del «padre». Il Presidente del Senato, appena un anno fa, definì Via Rasella «una pagina tutt’altro che nobile» attaccando i «partigiani rossi che non volevano un’Italia democratica ma il comunismo». Una «sgrammaticatura» – così Giorgia Meloni definì l’uscita di Ignazio Benito La Russa – in realtà figlia dell’identità anti-antifascista dell’estrema destra al governo.
«GLI INSULTI degli Almirante non mi hanno neppure sfiorato – continua Bentivegna – io, come voi del resto, a Via Rasella ci stavo allora e ci sono rimasto sempre». Perché la storia non si cancella neppure se a tentare di farlo sono le istituzioni. Così l’orgoglio della città, che con i suoi figli migliori seppe essere ribelle di fronte alla notte nazista, è ancora lucente in Via Rasella dove ancora oggi manca una targa in ricordo della dignità partigiana, ma dove ormai – concludeva Bentivegna – «siamo diventati tanti».
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