Diego Maradona, un ex-calciatore uscito, dopo non pochi dolori, dalla tossicodipendenza, che guida a Buenos Aires la marcia del rifiuto a Bush, sconvolgendo il Vertice dei paesi della Oea, dal quale Cuba era grottescamente esclusa per volere proprio degli Usa, è il segno di un continente in tensione e rapido mutamento dove l’avversione alla invadenza e alla prepotenza degli Stati uniti è evidente nelle strade, nei campi, nei caffè, nella vita grama e inumana di molti paesi latinoamericani e dove l’antiamericanismo non è mai stato così grande.

Maradona che fa politica, pur con i suoi limiti, e si espone in prima persona, è figlio dello stesso fenomeno per cui Lula, un ex operaio metallurgico, tre anni fa è stato eletto al vertice del Brasile una volta oligarchico, e dello stesso fenomeno per il quale l’indio Chavez è stato confermato per otto volte al governo in Venezuela e fra un mese Evo Morales, l’ex leader del Sindacato dei coltivatori della foglia di coca che Condoleezza Rice ha nella lista dei reietti, potrebbe diventare il primo presidente indigeno e socialista nella terra dove fu assassinato Che Guevara. (…)

dal manifesto del 6/11/2005