Quella fatica in più che nessuno vedeva
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Quella fatica in più che nessuno vedeva

Le tende della protezione civile allestite all’esterno della Vela Celeste – foto di Cesare Abbate/Ansa

Loro lo sanno Chiedi alla mia collega di università, che alla sera, negli anni Novanta, doveva tornare a casa, nelle Vele, che dalla fermata della metropolitana c’era più di un chilometro, e quando […]

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 24 luglio 2024

Chiedi alla mia collega di università, che alla sera, negli anni Novanta, doveva tornare a casa, nelle Vele, che dalla fermata della metropolitana c’era più di un chilometro, e quando pioveva si appantanava la strada, e non aveva manco una stanza per ripetere l’esame di greco, tanto stretti ci stavano, lì dentro. Eppure lei doveva fare gli esami come tutti noi, gli stessi, solo che dentro il libretto universitario c’era questa fatica in più, che nessuno vedeva. Lei raccontava, ma nessuno vedeva.

Chiedi ai musicisti degli A67, gruppo storico nato con questo nome perché la legge dell’edilizia popolare con cui sono state erette le Vele è la lex 167 del 1962 e A sta per ‘a: ‘a 167, la 167: luogo da cui vengono tutti loro, tutti artisti, che ogni giorno sono entrati in quel posto che ciascuno di noi chiama casa, però a volte l’ascensore non funzionava, e allora toccava fare otto piani a piedi.

Chiedi a Felice e Mirella Pignataro, che hanno fondato il GRIDAS che significa Gruppo di Risveglio dal Sonno, e il sonno è il sonno della ragione, è il torpore nel quale si può precipitare abitando in una periferia stanca e abbandonata, e con quel GRIDAS ci hanno fatto nascere il carnevale più bello di Napoli, che lavora tutto l’anno con i ragazzi alla costruzione di maschere e carri. E chiedi a ciascun murales che Felice Pignataro ha regalato alle scuole di Napoli, ai muri spogli senza stucco, chiedi.

Chiedi agli studenti del primo anno di Architettura della Federico II di Napoli, quando andai a leggere loro il racconto dei Granili di Annamaria Ortese, solo che avevo rivestito il libro, così che non si leggesse Il mare non bagna Napoli. E dopo aver letto la descrizione degli sfollati ai bombardamenti della Seconda guerra Mondiale, testo scritto nel 1954, ho detto loro: «di quale edificio stiamo parlando, secondo voi?» e mi hanno risposto «le Vele».

E chiedi al Centro Anti Violenza Donne in rete DreamTeam, che prende in carico ogni sorella che bussa alla porta, perché già chiedere aiuto è abbastanza per crederti, che organizzano le giornate di sensibilizzazione nelle scuole, che hanno dipinto un grande striscione in sostegno del popolo palestinese.

E all’autista del 182 che fa via Foria, San Pietro a Patierno, passando per Corso Italia, dalle cinque del mattino alle dieci di sera. E chiedi a ciascuna delle sei lettere in metallo dell’ex stabilimento Peroni, che è diventato un centro commerciale. E chiedilo a ogni studentessa, a ogni ragazzo che pendola con la Napoli di giù, a ogni viaggiatore che arriva alla rotonda di Capodichino. A Officina delle Culture, Gelsomino Verde, chi rom e chi no, Centro Territoriale Mammut, Centro Hurtado, Chikù. Loro, tutti lo sanno cosa significa questa tragedia.

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