Quel successo da resuscitare chiamato Servizio sanitario nazionale
Commenti Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn ha contribuito a un enorme incremento dell’aspettativa di vita in Italia: da 73,8 a 83,6 anni
Commenti Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn ha contribuito a un enorme incremento dell’aspettativa di vita in Italia: da 73,8 a 83,6 anni
Il servizio sanitario nazionale italiano è un esempio di successo istituzionale, avendo contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita tra i Paesi ad alto reddito. È, quindi, un modello che l’imperante retorica meritocratica dovrebbe difendere a spada tratta, adeguandolo alle nuove sfide della salute pubblica. Accade invece l’esatto opposto: il Ssn è in crisi, delegittimato e gravemente sottofinanziato.
Da questo paradosso nasce l’appello di un gruppo di medici e scienziati per un piano straordinario di finanziamento del Ssn, con risorse destinate a rimuovere gli squilibri territoriali.
I numeri. Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a un incremento dell’aspettativa di vita enorme: da 73,8 a 83,6 anni. Del resto, il miglioramento nel contrasto a molte malattie comporta anche un esponenziale incremento dei costi: quello che una volta non si poteva curare, ora si cura (talora con grande impiego di risorse) e spesso trasforma una morte certa e rapida in una patologia cronica, con costi continuativi per un lungo periodo. Così, non deve stupire che il paziente-tipo sarà sempre più corrispondente a quello di un anziano, spesso solo, affetto da multiple patologie croniche. Per questo tipo di paziente l’ospedale è un luogo pericoloso e, molto spesso, del tutto inutile.
A fronte di nuove sfide ed esigenze, il Ssn avrebbe bisogno di adeguare il suo finanziamento agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil). In Italia, il finanziamento del Ssn non è separabile dal tema della fiscalità generale: non solo l’ovvia lotta all’evasione e all’elusione fiscale, ma anche la riforma delle aliquote in senso progressivo, l’introduzione di un prelievo patrimoniale straordinario, il riordino della selva impazzita dei bonus fiscali (che ogni governo ha usato a scopi di consenso politico). Non è poi separabile dall’incomprimibilità politica del bilancio dello Stato: perché alcune voci di spesa sono “intoccabili” mentre altre sono infinitamente comprimibili? A chi conviene? Nel caso del Ssn, è chiaro che la contrazione del ruolo pubblico è a tutto interesse dei privati. Non è, infine, separabile dal modello di solidarietà territoriale, che l’autonomia differenziata mina alle fondamenta.
Nel nostro Paese esistono già importanti diseguaglianze di salute, che colpiscono classi sociali svantaggiate, territori marginali e luoghi periferici. La nostra medicina offre troppo ad alcuni (perlopiù ricchi) e troppo poco ad altri (perlopiù poveri). A Torino, per esempio, si parte da un’aspettativa di vita di oltre 82 anni al capolinea collinare del tram 3 e si arriva a poco più di 77 al capolinea periferico, in meno di 45 minuti di tragitto. Il “tram che fa perdere cinque mesi di vita al chilometro”, come è stato soprannominato in seguito allo studio epidemiologico del dottor Giuseppe Costa, permette quindi di osservare il netto cambiamento da un quartiere all’altro della stessa città. A Londra passando dal quartiere di Knights’ Bridge alle periferie si perdono quasi 10 anni di vita media, mentre a Glasgow e a New York questa differenza sale fino a 15 anni.
Il futuro della nostra salute è il futuro della nostra società, ci ricorda l’appello. Per difendere il Ssn occorre un attento governo delle innovazioni tecnologiche, serve potenziare l’erogazione di prestazioni con un elevato rapporto costo/beneficio (appropriatezza), costruire politiche di gestione della cronicità e attente all’evoluzione demografica, lottare per un finanziamento adeguato e che tenga conto dei mutamenti dello scenario globale della salute e delle sue vecchie e nuove determinanti. Una strada, questa, per evitare di dover scegliere già domani se curarci o pagare il mutuo, o se sacrificare i più fragili in nome del contenimento dei costi o degli anziani come “soggetti non più produttivi”, magari sperando solo nell’intervento della filantropia per alleviarne le ultime sofferenze.
Le soluzioni, quindi, ci sarebbero. Se solo la politica fosse interessata alla tutela di uno dei nostri più grandi successi istituzionali.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento